Terni, Cgil: “Area di crisi complessa e un protocollo sugli appalti contro il malaffare”

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Alessandro Rampiconi (2)Il responsabile del mercato del lavoro della Cgil di Terni, Alessandro Rampiconi, interviene con un’analisi della situazione economica e occupazionale, sollecitando l’adozione dell’area di crisi complessa (di cui si era molto parlato nei mesi scorsi ma che ora sembra essere caduta nell’oblio) e proponendo un protocollo sugli appalti che metta fine alla logica del massimo ribasso.

Il comunicato di Alessandro Rampiconi:

“Ormai è appurato che la crisi economica in Umbria è stata più devastante che nel resto del paese, ma all’interno della regione una delle aree più colpite è stata sicuramente quella ternana. Lo stesso Sole 24 ore, circa un anno fa, ha stilato una classifica delle province più in crisi dal 2007 al 2013 ponendo Terni al settimo posto, preceduta da Cagliari e seguita da Messina, con la sola Novara (3° posto) tra le città più a nord con indicatori peggiori.

D’altra parte anche i dati più recenti confermano questa tendenza: nei primi sei mesi del 2015 sia in Italia che in Umbria la cassa integrazione è calata su ogni tipologia, (dato di per se non sempre positivo se incrociato all’aumento della mortalità delle imprese) mentre a Terni complessivamente si sono fatte oltre 200.000 ore in più (1.416.172 a fronte di 1.216.030 dello stesso periodo 2014) con un aumento del 16,46% con la deroga aumentata del 6,52%, la straordinaria del 16,49% e l’ordinaria del 24.02%, e un 2014 che ha visto la chiusura di altre 2.316 imprese.

La fragilità dell’economia ternana dentro questa crisi è determinata da un tessuto societario composto da diverse multinazionali e da una miriade di microimprese che svolgono i servizi, senza l’ambizione di governare processi produttivi e prodotti innovativi.

Le filiere della chimica e della siderurgia rappresentano l’atavica vocazione industriale del territorio e su questi settori bisogna investire insieme ad altre iniziative che possono essere di complemento. La proposta della CGIL – lanciata ormai tre anni fa – del riconoscimento dell’area di crisi complessa a partire dalla filiera della chimica e rilanciare, ad esempio, sul versante delle green economy, ha trovato un strato di reticenza iniziale, venuto meno con il passare del tempo ma che oggi sembra di nuovo arenato dalle dinamiche istituzionali. La soluzione dell’area di crisi complessa continua ad essere determinate per reperire risorse mirate, così come è successo in altre realtà.

Nel frattempo è necessario costruire un quadro di certezze e di tutele per i lavoratori, invertendo anche in questo caso una dinamica nazionale, che invece ha visto in questi anni una notevole restrizione. Migliaia di lavoratori operano nel sistema degli appalti, senza controlli e come unica regola il profitto, attraverso la politica del massimo ribasso che tende a ledere diritti fondamentali dei lavoratori quali la sicurezza ed apre l’orizzonte ad aziende collaterali alla criminalità organizzata. In tutto il periodo della crisi c’è stata una forte riorganizzazione delle aziende che vivono di appalti, sopratutto spinte dalle committenti che a loro volta hanno “efficientato” e compresso i costi. Queste efficienze quasi sempre si sono scaricate sui lavoratori, rivedendo o cancellando i contratti di secondo livello, le voci sulla sicurezza colpevolmente considerate costi o addirittura la natura dei contratti passando, ad esempio, da industria ad artigiani senza una vera motivazione e producendo un vero e proprio dumping contrattuale. Questi sono solo alcuni esempi non esaustivi a cui sono sottoposti i lavoratori degli appalti.

Per questi motivi durante la vertenza di TKL-AST siamo stati i primi a chiedere trasparenza e norme che potessero portare diritti ai lavoratori e togliere di mezzo malaffare e centri di potere. Su queste basi abbiamo fondato, anche con le altre sigle sindacali, il coordinamento delle RSU/RSA dell’indotto AST, una sorta di tutela collettiva a lavoratori che rischiavano di restare attori passivi e che comunque hanno pagato duramente – e ancora pagano – delle scelte aziendali tutt’altro che chiare.

È in questo contesto che stiamo chiedendo un protocollo provinciale sugli appalti con l’obbiettivo di regolamentare un settore che ad oggi vive nella totale precarietà aldilà delle tipologie contrattuali applicate. Bisogna favorire le aziende virtuose e che rispettano i contratti e le leggi, impedendo a chi non ha queste caratteristiche di partecipare alle gare e di “drogare” le cifre dei capitolati di appalto. Recenti accordi in questo senso si sono chiusi o si chiuderanno al Comune di Bologna e alla Regione Puglia.

Troppi sono i lavoratoti che vivono nei coni d’ombra degli appalti e dei sub-appalti che dentro la crisi perdono il posto di lavoro o peggiorano notevolmente le loro condizioni di vita, senza molto spesso riuscire ad entrare nelle statistiche perché frammentati e difficilmente rappresentabili.

Risulta essenziale impegnare le risorse migliori del territorio per iniziare una controtendenza a questa crisi che continua a mordere in maniera feroce. Le due proposte del sindacato sono sul tavolo ed insieme ad altre sostanziano un piano per il lavoro, come visione per provare uno scatto d’orgoglio utile ad uscire. Esattamente il contrario di fasciarsi la testa o mettersi maglie nere. Ora serve un impegno delle controparti del sindacato e sopratutto delle istituzioni che ormai sembrano aver incamerato il nuovo corso della politica italiana e cioè superare le organizzazioni intermedie o almeno quelle che rivendicano salario, diritti e tutele”.

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