American Pie ancora insieme, la recensione: fa ridere prendendo a schiaffi il buon gusto
Andare a vedere il nuovo American Pie è come investire i risparmi in una banca svizzera. Un affare, per otto euro di biglietto. Poche storie, chissenefrega degli ululati della critica dalla puzza sotto il naso, saremo superficiali e forse pure un po’ sciatti. Ma siccome il cinema è anche e soprattutto intrattenimento, consigliamo a tutti questo filmetto senza alcuna pretesa se non quella di far ridere. Sia pure col solito, sciagurato, armamentario: chiappe, eiaculazioni, deiezioni, scoregge, tettone. Evvai.
Certo, lo spettatore non compreso nella fascia tra i 14 e i 30 anni, potrebbe trovarsi in difficoltà, specie se non conosce i precedenti episodi, tutti ovviamente serissimi. Anche perché dal primo all’ultimo minuto vanno in scena, glutei a parte, due generazioni di teenager: quelli di oggi e quelli che avevano i brufoli alla fine degli anni ’90. Quelli che si esaltavano con le belinate dei Blink 182 e quelli che toccano il cielo con un dito ascoltando Justin Bieber o guardando Twilight. Ormoni a badilate, per farla breve.
I pochi adulti del film invece fanno la parte dei rincoglioniti, cui si può far tutto senza che essi dicano bao, oppure quella, francamente un po’ penosa , di chi non sa o non vuole invecchiare. E qui sono dolori: mette un filo tristezza la scena del ragazzo che suggerisce al padre la giacca buona per rimorchiare. Oppure quella con un paio di mamme arrapate come scolarette, scosciatissime nonostante il viso devastato dalle rughe, a caccia di carne fresca. Si diventa davvero così varcata la soglia dei cinquanta? Non è dato sapere la risposta. Ma in questo impressionante bailamme di masturbazioni, falli e sconcezze assortite, tutto è ammesso, specie la superficialità. Perchè in fondo, diciamocelo, la goliardia pura alle volte funziona, anche quando si limita ad assestare sberloni al buon gusto.
Capitolo trama. Un gruppetto di ex compagni di classe del 1999 si ritrova per una rimpatriata. Trent’anni dopo il diploma? Macché, neache tredici. Vabbé si vede che i signorini – riflesso dei giovani attuali – soffrono di nostalgia precoce. Il tempo passa e tutto cambia, a cominciare da chi è adolescente adesso. Una volta si faticava come bestie per farsela dare, oggi è un’impresa mantenere la verginità fino alla fine delle superiori.
E poi: com’è dura guardarsi allo specchio e accettare di non essere più gli stessi. C’è chi da quando ha messo su famiglia si ritrova le ragnatele tra le mutande, chi ha trovato un lavoro ed è sfruttato come uno schiavo, c’è quello che si è dato ai reality danzerecci e quell’altro che sostiene, per conquistare l’erudita della compagnia, di aver letto iFratelli Karamazov in latino quando in realtà fa il magazziniere.
Rivedersi dopo tanti anni può giocare strani scherzi e rimescolare le carte del destino. Niente tornerà come ai tempi del diploma. O forse no?
Insomma, c’era da aspettarselo, gli sceneggiatori non si sono spremuti granché e hanno sfornato la solita storiellina trita e ritrita. Ma per una volta ciò è irrilevante. Perché chi si accontenta ed è in grado di spegnere il cervello per due ore – noi in questo siamo campioni – uscirà dalla sala soddisfatto, per aver visto uno dei film più divertenti in cirocolazione. Gli altri stiano pure a casa a guardare Bruno Vespa.
Voto: 7