Antonella, di nome, puttana, di cognome…
Ho finito a mezzanotte il mio turno di telefonista erotica. Leggo che una prostituta di vent’anni, Silvia Elena, è stata uccisa da un ragazzo, italiano, che l’articolo di giornale dice forse l’abbia pure derubata. Di un bacio, di un po’ di soldi, di qualunque cosa. Sono tante le prostitute che vengono aggredite, derubate, uccise, ogni anno, e mentre per lavoro sono esposta alle richieste telefoniche di uomini che esigono attenzioni non posso che fermarmi a immaginare cosa deve essere la vita di chi resta per le strade, a calpestar cemento, a prendere freddo, a rischiare la vita.
E quello che mi fa più rabbia è che tutto ciò avviene non perché le ragazze hanno scelto di fare quello che fanno, a meno che non siano state costrette, certo, e in quel caso bisogna fare di tutto affinchè si affranchino da quella schiavitù, ma se l’hanno scelto la loro condanna è data da un bieco moralismo che le consuma e le riduce ai margini della società.
Persino io che vendo giusto la voce ad un telefono sento il giudizio di quelle persone a cui lo dico, e sono poche, che ancora mi ripetono: perchè io faccio questo invece che una delle mille altre cose che potrei?
Mille? E dove stanno tutte queste infinite possibilità? Dov’è il mio presente? E il mio futuro? E quanti sono i lavori per cui io dovrei dire addio all’intelligenza e dovrei piegarmi a fare e dire cazzate da mattina a sera?
In questo momento faccio due lavori e dopo le feste saranno quasi tre. Badante, impacchettatrice in un negozio e telefonista erotica e quello in cui mi sento meno puttana è giusto l’ultimo, guarda un po’.
Le ragazze che scelgono quella professione sono messe a rischio da chi le confina nelle periferie delle città. Da chi le condanna perché nella precarietà scelgono di vendere alcune parti del corpo piuttosto che altre. Da chi le condanna ad agire in clandestinità per far fiorire un mercato che agevola i criminali che talvolta le sfruttano o le ricattano. Da chi le condanna a non poter fruire di servizi e a restare in luoghi illuminati, al caldo, dove difficilmente uomini violenti potrebbero ammazzarle e derubarle.
C’è che certi uomini esigono i corpi delle donne e non consentono un rifiuto perché tu sei quello che desiderano e se ti desiderano loro vogliono appropriarsi di te e quando si appropriano di qualcosa difficilmente tu puoi gestire i tuoi rifiuti e far comprendere che no vuol dire no.
Ci penso adesso a questa cosa, a quante volte sono stata insultata perché ho detto No. A quante volte sono stata molestata perché io “non ci stavo”. A quante volte la mia libertà di gestire il mio corpo e il sesso mi veniva imputata come un crimine, perché puttana in fondo io lo sono sempre stata, dalla nascita, perché così mi hanno ribattezzata. Antonella virgola Puttana virgola nome virgola cognome virgola e vaffanculo punto.
Siamo tutte puttane, certo, per strada, in casa, coi mariti e i fidanzati, con i conoscenti che se tu stuzzichi la loro fantasia poi non puoi scegliere se fare sesso per il tuo piacere o il loro.
Io sono io, e sono mia, e sono Antonella, e scelgo di essere, e respirare, e amare, e desiderare, e lavorare, e non vedo alcuna differenza tra quello che è stato fatto alla ragazza ammazzata oggi e quello che è stato fatto a me ogni volta che ho osato opporre un rifiuto all’uso che qualcuno voleva fare del mio corpo.
Un mondo che mi nega il diritto al mio piacere e che nega alle sex worker il diritto a ricevere un compenso per ciò che vendono, che mondo è?
Quello che so è che è morta una donna e che io la sento sorella. Una precaria, come me. Di lei non leggerò celebrazioni e niente che la ricordi nel modo giusto. Ma io sono qui e l’abbraccio forte ovunque sia e me la ricordo. Io, mi ricorderò di lei.
Fonte: menoepausa.wordpress.com