Ospedale di Terni, nuovo trattamento mininvasivo del fibroma uterino
Questo trattamento, che consente di conservare l’utero ed evitare un intervento chirurgico tradizionale, è indicato nei casi di fibromi sintomatici. L’embolizzazione garantisce un alto tasso di successo, riduce i tempi di degenza ospedaliera (1-2 notti circa) e favorisce, in assenza di cicatrici chirurgiche, un recupero postoperatorio più semplice e rapido. La maggior parte delle donne comincia a riprendere le propria attività in pochi giorni.
In poco meno di quattro mesi all’ospedale di Terni sono state trattate con questa nuova procedura 10 pazienti. Tale risultato è frutto della collaborazione tra diverse strutture ospedaliere e universitarie, in particolare tra la dottoressa Anna Fagotti, ginecologa presso la struttura di chirurgia generale e specialità chirurgiche diretta dal professor Nicola Avenia, e la sezione di radiologia interventistica, attualmente composta dai dottori M. Allegritti, B. Enrico, M. Corona, con la consulenza radiologica del dottor Giovanni Passalacqua e del direttore di Radiologia Angelo Carloni. L’assistenza anestesiologica è garantita dall’équipe di Cardioanestesia diretta da Fabrizio Ferilli.
Le pazienti candidabili all’embolizzazione vengono selezionate attraverso una visita ginecologica e successivamente inviate al radiologo per essere sottoposte ad una Risonanza Magnetica al fine di valutare le caratteristiche del fibroma ed escludere la presenza di patologie maligne associate.
Come funziona l’embolizzazione dei fibromi uterini? Questo approccio blocca l’apporto di sangue al fibroma inducendone la riduzione delle dimensioni. Si tratta di una procedura minimamente invasiva che richiede una piccola incisione nella pelle, attraverso cui viene inserito un sottilissimo catetere nell’arteria femorale. Il radiologo interventista, guidato dalla fluoroscopia (tecnica radiologica che ottiene in tempo reale immagini dell’anatomia interna di un paziente attraverso l’utilizzo di raggi X) inietta minuscole particelle di materiale simil-plastico, delle dimensioni di granelli di sabbia, nell’arteria che fornisce l’apporto sanguigno al fibroma, bloccandone l’afflusso di sangue e inducendone la riduzione delle dimensioni. La tecnica viene eseguita da un radiologo interventista con paziente sveglia e cosciente; il dolore è controllato da un anestesista dedicato grazie all’utilizzo di sedativi e antidolorifici.