Sette ristoranti italiani nella ”Top 101” dei migliori posti per mangiare
Ma non mancano singolarità e pareri contrastanti tra alcuni nostri chef. Nel Belpaese, ad esempio, due dei sette ‘best places’ sono a Cortona (AR), di cui uno è un camioncino della porchetta. Uno strano caso di densità se si considera che Senigallia (in cui i ristoranti di Moreno Cedroni e Mauro Uliassi distano appena una dozzina chilometri) non è citata. Altra singolarità riguarda gli autori. Jamie Oliver, alfiere della sana alimentazione, colui che a trent’anni appena compiuti era stato incaricato dall’allora Primo Ministro britannico Tony Blair di combattere la crescente obesità giovanile riorganizzando i menu delle mense scolastiche del Regno Unito, ha indicato a Bari un banchetto di polenta fritta ‘deep-fat-fries‘. E ancora, i migliori spaghetti alla carbonara, secondo Tim Love, chef del Lonesome Dove Western Bistrò a Fort Worth, Texas, si mangiano al Caffé Duomo di Firenze.
“E’ un segno tangibile di quello che succede in Italia – ha dichiarato lo chef Filippo La Mantia – le persone cercano la normalità. Se l’avessero chiesto a me avrei risposto Pane e Panelle”. “Sono provocazioni che rischiano di sminuire il lavoro di tanti colleghi – ha dichiarato Davide Oldani, chef del ristorante D’O a Cornaredo (MI) – lo street food italiano non è come quello giapponese, meriterebbe una categoria a sé e comunque non andrebbe accomunato alla cucina che si fa nei ristoranti”. “Come tutte le classifiche – è intervenuto Carlo Cracco – non è poi così affidabile e fa un po’ sorridere. Se da una parte possiamo dire che un paese senza street food è un paese senz’anima dall’altra possiamo asserire con assoluta certezza che il cuoco ha un approccio tecnico-scientifico. Quello che posso dire – ha concluso – è che il titolo della classifica sarebbe dovuto essere ‘Qual e’ la vera cucina?'”.