Tari, Confcommercio: “Comune di Terni maglia nera per inefficienza”, imprese tartassate
Il Comune di Terni, insieme a quello di Perugia, è maglia nera d’Italia per quanto riguarda la tassa sui rifiuti e l’inefficienza tra spesa pubblica e servizi offerti. Le attività ternane finiscono per sostenere costi molto superiori rispetto ai Comuni più virtuosi. E’ quanto emerge dall’indagine presentata oggi da Confcommercio, focalizzata soprattutto sulla Tari.
Spiega Confcommercio: “L’Umbria, assieme a Toscana, Lazio, Campania e Puglia, è tra le regioni con più alta concentrazione di Comuni che spendono più del fabbisogno e offrono meno servizi. Nella graduatoria che misura l’inefficienza dei Comuni, quelli di Perugia e Terni portano la maglia nera, rispettivamente, con un +38,61% e +37,12% di differenza tra la spesa storica e il fabbisogno standard (il fabbisogno standard rappresenta la spesa media per la realizzazione di un determinato livello di servizio, contestualizzata in relazione alle caratteristiche del bacino demografico territoriale nonché del servizio stesso)”.
Secondo Confcommercio Umbria “oggi abbiamo sotto gli occhi l’ennesimo esempio di quanto le nostre imprese siano penalizzate da costi dei servizi pubblici che continuano a crescere in modo ingiustificato. Bisogna intervenire con più coraggio e determinazione sul fronte della spesa pubblica locale che presenta ampi margini di riqualificazione e di riduzione. Le nostre imprese, quelle del commercio, del turismo e dei servizi, non vogliono e non possono più pagare gli sprechi della Pubblica Amministrazione”.
TERNI Nello specifico, “le imprese del commercio che operano nel Comune di Terni sostengono una spesa superiore del 28% rispetto a quella registrata nei Comuni benchmark.
Tra le dieci categorie considerate dall’indagine Confcommercio, addirittura nove presentano una spesa superiore a quella media dei Comuni benchmark: distributori di carburante +76%, alberghi con ristorante +42%, alberghi senza ristorante +44%, esposizioni +22%, negozi +40%, ristoranti +22%, ortofrutta +32%. Infine, considerando la media dei Comuni benchmark, le imprese del commercio nel complesso contribuiscono in misura maggiore alla spesa rispetto alle famiglie”.
PERUGIA Per quanto riguarda Perugia, “in linea generale, l’indagine Confcommercio dimostra che la spesa sostenuta dalle imprese del commercio è superiore del 32% a quella registrata nei Comuni benchmark (nelle analisi di benchmarcking, i Comuni sono stati raggruppati in cluster, individuati in base alla classe di popolazione residente (da 20 a 50 mila, da 50 a 100 mila, da 100 a 300 mila e oltre 300 mila) e alla densità abitativa (fino a 400 abitanti/kmq, da 400 a 1 800 abitanti/kmq e oltre 1 800 abitanti/kmq); quella sostenuta dalle famiglie è superiore del 9%. Dal 2012 al 2015, la spesa per le famiglie è aumentata dell’8%, mentre quella delle imprese addirittura del 37%”.
L’indagine Confcommercio “considera 10 categorie commerciali, rilevando che a Perugia la spesa per la TARI degli alberghi senza ristorante, ad esempio, è superiore rispetto alla media dei Comuni benchmark del 61%, degli alberghi con ristorante del 29%, dei negozi del 53%, dei supermercati del 20%, delle esposizioni addirittura del 128%. Una ulteriore criticità riguarda la ripartizione dei costi per la TARI, che sono sbilanciati sulla quota fissa, che rappresenta il 72% dei costi complessivi. Un peso elevato della quota fissa, superiore al 50% del costo totale, indebolisce il legame tra tassa e rifiuti prodotti, vanificando il potere incentivante delle agevolazioni, che spesso agiscono sulla parte variabile”.
L’INDAGINE NAZIONALE L’indagine Confcommercio sulla TARI ha rilevato “una tassazione crescente che ha inciso su tutte le principali categorie economiche del terziario, con distorsioni eclatanti per alcune attività. I ristoranti hanno visto aumentare i costi quasi del 500% mentre ortofrutta, pizzerie e discoteche hanno superato addirittura il 600%. Enormi, inoltre, sono i divari di costo tra territori. Numerosi sono i casi, infatti, dove la spesa per la gestione dei rifiuti, a parità di livelli qualitativi di servizio, manifesta scostamenti significativi anche tra Comuni limitrofi, con picchi che sfiorano il 900 %”.
“Ancora più anomali i divari di costo tra medesime categorie economiche, sempre a parità di condizioni. Per un albergo di 1.000 mq, ad esempio, lo scostamento è del 983%, passando da un minimo di 1.200 euro ad un massimo di 13.000. Per un ristorante di 180 mq si passa dai 500 euro/anno ai quasi 10 mila euro (1.900%), mentre per un negozio di calzature di 50 mq il divario registrato è del 677% con variazioni da un minimo di 90 euro/anno a quasi 700 euro”.
“Una situazione aggravata dal peso dell’inefficienza delle Amministrazioni locali.
Il 62% dei Comuni capoluogo di provincia registra infatti una spesa superiore rispetto ai propri fabbisogni (così come definiti dallo stesso Governo), peraltro associata con livelli di servizio e prestazioni inferiori. In alcuni casi lo scostamento dal fabbisogno è superiore all’80%. Il costo di questa inefficienza ha prodotto un mancato risparmio di 1,3 miliardi di euro, che potenzialmente avrebbe potuto rappresentare una riduzione del costo del servizio e quindi della tariffazione”.