Il piano industriale dell’Ast – firmato mercoledì scorso al Mise – deve ancora essere sottoposto al referendum dei lavoratori ma ha già prodotto importanti conseguenze. Ad iniziare dagli organici della fabbrica: con l’uscita volontaria di oltre 290 dipendenti dell’acciaieria (e ancora oggi alcuni operai vorrebbero accettare la mobilità ed i 61 mila euro), sono venute meno anche figure importanti della macchina produttiva come capiturno e capireparto. C’è insomma da affrontare una riorganizzazione complessiva dei reparti.
Le uscite volontarie hanno poi aperto un’ulteriore importante questione: il rapporto del numero degli impiegati rispetto a quello degli operai. Ad accettare di lasciare il lavoro sono infatti state le tute blu ed ora ci sarebbero troppi colletti bianchi. Per molte decine di impiegati il rischio è ora quello del demansionamento: potrebbero essere ricollocati come operai.
C’è poi malcontento dei lavoratori poiché non sarebbero ancora stati corrisposti ai circa 2.700 dipendenti gli stipendi di novembre, il cui pagamento potrebbe slittare oltre la data del 10 dicembre, che era stata annunciata nei giorni scorsi.
Chi mostra però veri segni di insofferenza sono i dipendenti delle ditte esterne che sabato prossimo si riuniranno in assemblea. Oggi alcuni di loro hanno diffuso a Terni un volantino in cui si afferma che “dopo la firma dell’ipotesi di accordo sulla vertenza Ast, è ormai palese che le istituzioni, sindacali e politiche, considerano i lavoratori delle ditte terze operai di serie B”. Il problema per loro è soprattutto la mancanza di vere garanzie: la clausola di salvaguardia dei lavoratori negli appalti non è ritenuta sufficiente.