Il decreto del Governo Monti che taglia 35 province italiane, tra cui quella di Terni, è al vaglio del Parlamento che dovrebbe convertirlo in legge. Un passaggio che sembra sempre meno scontato mentre crescono le possibilità che esca fortemente modificato o che non veda mai la luce. Per Terni c’è quindi la concreta possibilità di conservare il proprio ente.
Un primo colpo è arrivato ieri da parte della Conferenza delle Regioni che ha dato parere negativo ed ha bocciato il decreto legge, attualmente all’esame del Senato, perché “aggrava l’incertezza del quadro normativo di riferimento, determinata dai precedenti provvedimenti intervenuti in materia, e non individua gli strumenti necessari a garantire la tenuta del sistema istituzionale in esito alla proceduta di riordino, causando pertanto gravi ricadute sui territori”. Sul parere negativo pesano molti elementi, non ultimi quelli relativi ai requisiti adottati, ma più in generale si segnala la necessità di “garantire la massima coerenza fra le funzioni e gli organi delle Province”. Ma dubbi vengono espressi anche nel merito della decretazione d’urgenza che potrebbe essere “incostituzionale”.
Dello stesso avviso sembravano Pdl e Lega che solo ieri hanno ritirato la pregiudiziale di costituzionalità che aveva fermato l’iter del provvedimento nella commissione Affari costituzionali del Senato. Ma i due partiti si riservano la possibilità di ripresentare in aula lo stesso documento che, se approvato, farebbe decadere automaticamente il decreto.
Insomma, il decreto è appeso ad un filo. Tanto che il ministro della Pubblica amministrazione, Filippo Patroni Griffi, è sbottato affidando a Twitter il proprio sfogo: “Siamo arrivati a richieste di deroga incredibili. Tipo: deroga per le città che hanno torri pendenti! I criteri non li abbiamo inventati noi ma erano nei disegni di legge in parlamento. Se il decreto sul riordino delle Province non verrà convertito in legge resterà in vigore il Salva Italia sulle funzioni”. Infine Patroni Griffi ha ribadito che “da parte del Governo c’è una ovvia disponibilità al confronto e ad eventuali modifiche, soprattutto nella fase transitoria, purché resti salva l’impronta del decreto”.
Ma il decreto sul riordino delle province è attaccato su tutti i fronti. L’Anci ritiene che “sarebbe opportuna una riflessione circa la coincidenza del territorio della Provincia con l’intera Regione” (cioè proprio quanto si verificherebbe in Umbria) e per quanto riguarda la questione della definizione del Comune capoluogo di Provincia, “l’Anci ribadisce la propria contrarietà a rimettere ai territori e a tutti i Comuni della Provincia riordinata la scelta, che sarebbe determinata da situazioni di contesto contingente, ritenendo migliore la soluzione contenuta nell’articolo 17 del decreto n. 96 che prevede il criterio di prevalenza demografica, ad eccezione di accordo fra i soli Comuni capoluogo interessati”.
Inoltre, stando ad un comunicato di Di Girolamo e Polli, anche il segretario del Partito democratico, Pier Luigi Bersani, avrebbe espresso lo stesso concetto applicandolo specificatamente al caso umbro: il territorio di una provincia non deve corrispondere a quello di una regione. In realtà non abbiamo trovato riscontri di questa presa di posizione di cui parlano in una nota congiunta il sindaco di Terni e il presidente della Provincia di Terni. Questo il loro comunicato:
“Esprimiamo apprezzamento e soddisfazione per il documento che l’ANCI nazionale ha consegnato ieri al Governo, nel quale si solleva la questione della coincidenza territoriale tra Regione e Provincia, invitandolo a ripensare e correggere quanto contenuto nel decreto di attuazione dell’articolo 17 sul riordino delle Province.
Ugualmente consideriamo importante l’affermazione del Segretario nazionale del Pd e candidato alle primarie del centrosinistra on. Bersani che anche rispetto al mantenimento e alla sostenibilità dell’autonomia regionale dell’Umbria chiede al Governo di evitare la sovrapposizione tra Provincia unica e Regione.
Queste autorevoli prese di posizione istituzionali e politiche non fanno che confermare, a dispetto di chi lo riteneva una inutile ‘ammuina’, la validità del lavoro fin qui svolto attraverso il CAL dell’Umbria e la Regione. Lavoro che, sulla base delle istanze emerse all’unanimità dai consigli Provinciale e Comunale di Terni e dal mondo dell’associazionismo ternano, ha incontrato un consenso politico e sociale molto vasto a livello regionale.
Siamo fiduciosi che queste ulteriori prese di posizione inducano il Governo a correggere il testo attualmente in discussione presso la Commissione Affari Istituzionali del Senato”.
Oltre alla contrarietà che sta emergendo da parte di più soggetti istituzionali, c’è soprattutto un elemento da tenere in considerazione: un decreto legge deve essere convertito in legge dal Parlamento entro sessanta giorni, altrimenti decade. Considerando che il decreto in questione è del 31 ottobre, la scadenza è fissata al 31 dicembre. I tempi, però, si riducono ulteriormente visto il lungo ponte natalizio dei parlamentari. In sostanza, se entro metà dicembre non ci sarà la conversione in legge, la soppressione delle province non vedrà la luce.
A ridosso delle elezioni sembrerebbe che i partiti siano intenzionati a non mettere la faccia sulla soppressione di 35 province che scontenta molti cittadini, ne a rinunciare alle poltrone che quegli enti rappresentano. L’ipotesi è che la melina sia già cominciata e proseguirà tra estenuanti discussioni e decine di emendamenti, fino a metà dicembre.