Il 20 giugno 1993 Gianfranco Ciaurro fu eletto sindaco di Terni. Ad oggi il professore resta l’unico primo cittadino non espressione della sinistra o del centro-sinistra della storia ternana. Oggi Enrico Melasecche, che delle due Giunte di Ciaurro fu tra i principali esponenti, racconta il suo punto di vista su quella stagione.
Il comunicato di Enrico Melasecche:
“Ricorrono in questi giorni ventitre anni dalla vittoria elettorale del liberale Prof. Ciaurro e di quella parte di città che con lui sognò e determinò un cambiamento epocale. Il primo e l’ultimo nella storia repubblicana di Terni. Molti ternani ricordano bene quel giorno. Terni era dilaniata da una guerra senza esclusione di colpi fra i partiti della maggioranza, con una Procura della Repubblica che portava alla luce, nell’ambito della c.d. tangentopoli rossoverde, una serie numerosa di responsabilità nella gestione della pubblica amministrazione.
Lo strapotere dei partiti era giunto al limite e la città era moralmente ed economicamente prostrata. Fu una ventata di libertà che entusiasmò e coinvolse moltissimi. Si pensi soltanto che mentre nel 1993 la vittoria fu determinata da meno di duecento voti, candidato a sindaco della sinistra era Giustinelli, nelle elezioni successive del 1997, avversario di Ciaurro era Palazzesi, furono oltre seimila i ternani che con il proprio assenso assegnarono la vittoria travolgente a Ciaurro ed alla sua squadra.
Furono sei anni brevi ma intensi in cui la città liberò tutte le sue energie intellettuali e manageriali, con competenze inusitate rispetto al passato e con una passione mai più vista negli anni che seguirono. La tristezza dell’oggi è caratterizzata da una crisi generale ma anche e soprattutto da una sinistra che è tornata a colonizzarla in tutte le sue espressioni, dalla cultura agli appalti, dal sociale alla dipendenza politico amministrativa dalla Regione perugino centrica e che le ha tolto l’orgoglio civico. Fu una rivoluzione innanzitutto di valori perché una ventata di entusiasmo soffiò sulla Conca e migliaia di famiglie che da generazioni non avevano cittadinanza si unirono al cambiamento.
Furono peraltro anni tutt’alto che facili ma l’entusiasmo che derivava da una operosità palpabile era tale da superare ogni ostacolo. Avendo partecipato da una generazione ininterrottamente ai lavori di giunta e di consiglio da quel fatidico 20 giugno del ’93 ad oggi, il confronto fra quei sei anni rivoluzionari e l’oggi, intriso di fallimenti e di occasioni mancate, non può che obbligarmi ad un bilancio di una evidenza indiscutibile. Basterebbe un solo esempio, l’apertura al merito nei concorsi in cui mai, dirigenti ed assessori, avrebbero mestato per assumere i propri figli in Comune o nelle partecipate. Varie decine di funzionari e dipendenti entrarono con concorsi regolari a prescindere dalla tessera che avevano in tasca e dalle idee politiche professate, dando lavoro a giovani ternani meritevoli che aspiravano ad un lavoro dignitoso. Fra questi, solo per citarne alcuni, anche Giorgio Armillei e Marco Fattore, prova evidente di una apertura che mai più ci sarebbe stata.
Erano gli anni in cui si acquistava Papigno e Benigni vi girava “La vita è bella”, in cui il Centro Multimediale, con partner privato la Telecom, pullulava di giovani e di imprese innovative ed in cui insegnava Carlo Rambaldi, l’inventore di ET. Ma non erano solo e soltanto le grandi opere a segnare il cambiamento ma soprattutto il modo di concepire la cosa pubblica, il senso dello stato, che permeava l’agire di quegli anni. Un traguardo dopo l’altro si raggiungeva con una determinazione manageriale mai più vista. Dal Ponte Maratta Sabbioni al Parcheggio S. Francesco, dalla Strada dei Quartieri alla rivoluzione alla Cascata delle Marmore, con l’introduzione del biglietto osteggiato da una sinistra miope i cui introiti oggi vuol accaparrarsi, dal recupero dell’Anfiteatro Fausto a quello di Carsulae, dalla riqualificazione dell’intero centro storico, a cominciare da quel ghetto che era il Quartiere Duomo, a quella di Corso Tacito e Piazza Europa. L’ex Convento di S. Valentino, ridotto alla funzione tristissima della “casa degli sfrattati” fu recuperato in modo mirabile.
Volli la costruzione del nostro piccolo aeroporto, poi declassato negli anni successivi dalla Lorenzetti ad aviosuperficie mentre Foligno e Perugia acquisivano a piene mani investimenti ingenti statali e regionali rispettivamente per il traffico e la protezione civile. Comperammo la palazzina della Ex Foresteria della Terni, simbolo del potere padronale della acciaieria e dopo un secolo ne aprimmo alla città i giardini, un segno importante di conquista sociale ma soprattutto per farne la sede di quel Polo Universitario che con noi acquistò dignità aggiungendo ad Ingegneria il corso di laurea in Economia ed il completamento di quello di Medicina, aprendo così una offerta formativa di assoluto livello. Ristrutturammo Palazzo Giocosi- Mariani quale sede prestigiosissima dell’Istituto Briccialdi lanciato come era verso il traguardo della statizzazione …purtroppo ancora un miraggio e, a pochi metri, ricostruimmo il Palazzo Ex Sanità, con un progetto pubblico-privato dopo trent’anni di crolli ed abbandoni.
Un fervore che il mio amico di scuola Renato Locchi, sindaco di Perugia, constatava con ammirazione ed una punta di invidia. Sviluppo, idee, obiettivi, sana amministrazione, libertà di fare impresa. Terni era tornata ad essere attrattiva, ci riprendemmo Umbria Jazz e consegnammo alla città tre simboli storici: l’Obelisco di Pomodoro, bloccato da querelle inimitabili, la Pressa, salvandola dalla fusione e, nel ’95 la Fontana di Piazza Tacito finalmente restaurata. I quindici anni successivi l’hanno ridotta come vediamo.
L’amore disinteressato per la città, “buona amministrazione”, l’organizzazione per obiettivi, unitamente al rigore amministrativo e all’efficienza costituirono la base del successo. Ma anche fantasia e coraggio. Da giovane quarantacinquenne, funzionario della Banca d’Italia, partecipai a quella esperienza travolgente, innamorato di politica e di una città che mi aveva accolto con grande apertura, con una squadra, di ternani e non, di assoluto livello, professionale ed umano, che la sagacia di Ciaurro seppe amalgamare. Nelle elezioni travolgenti del ’97 c’era però il germe di ciò che sarebbe poi accaduto nel ’99, l'”anatra zoppa” ci consegnò un consiglio comunale senza premio di maggioranza tant’è che, complice la rivoluzione politica nazionale di quegli anni, mancò il supporto necessario del voto consiliare e Terni si avviò verso la restaurazione del decennio Raffaelli ed i sette anni di Di Girolamo.
Tirare oggi le somme è fin troppo facile ed i confronti sono amari e non meritano commenti. Anche il negazionismo ambientale, ferocemente propugnato da una sinistra culturalmente miope solo oggi sta mostrando la corda La sintesi migliore per chi conosce il valore dei numeri è il disavanzo di 55,5 milioni di euro dichiarati nel 2015, una macina al collo alle speranze della città per la generazione presente e quella che verrà, ma soprattutto una Università in liquidazione, un CMM fallito, una Terni che anela ad una nuova rivoluzione che le dia un futuro degno di essere vissuto. Noi intestammo spontaneamente a Domenico Mascio la nuova via che unisce pedonalmente la stazione con il centro storico, solo perché aveva collaborato con me al gruppo di lavoro sulla Pressa, mentre Raffaelli, diabolicamente, mentre io proponevo di intestare a Ciaurro, tra i migliori sindaci che ha avuto Terni, il Ponte Maratta Sabbioni, consentì di ricordarlo dedicandogli un francobollo di verde, piccolo e marginale, sotto le mura della Passeggiata.
A questa classe dirigente di sinistra, fatte le dovute eccezioni, manca non solo il respiro delle grandi prospettive ma anche la generosità ed il senso civico di una identità e di un destino comuni”.