Come schiavi. E’ la condizione in cui erano ridotti 77 operai cinesi impiegati a Fabro da due imprese tessili i cui titolari, cinesi anch’essi, sono stati denunciati (qui l’articolo). Gli operai, per lo più giovani, tra loro molte donne, sono stati reclutati da un loro connazionale direttamente in Cina, fatti arrivare nella provincia ternana per essere impiegati in nero in un capannone. Ogni giorno svolgevano turni massacranti di oltre 12 ore, per ricevere stipendi tra gli 800 e i 900 euro al mese. E da quel capannone non uscivano mai: tutti quanti vivevano lì, nel totale degrado. Secondo le fiamme gialle, l’attività così organizzata andava avanti da almeno quattro anni.
Cgil. Per la Cgil quanto venuto a galla è un “fatto gravissimo” che conferma “un problema vecchio, che si ripropone da tempo”. “Con realtà come queste – scrive in una nota – il sindacato fatica indubbiamente ad entrare in contatto, perché difficili da individuare e perché la comunità cinese è molto chiusa al suo interno”. Nonostante questo la Cgil ricorda che già nel 2007 aveva lanciato “un forte grido di allarme rispetto alla presenza, a Fabro, di aziende lager in cui lavoratori cinesi erano brutalmente sfruttati”.
Secondo la sigla sindacale, “la società civile e il sistema economico umbro non sono stati in grado di espellere questo problema”. “Nel territorio orvietano – spiega ancora il comunicato – hanno chiuso realtà produttive del settore tessile che avevano fatto della qualità l’elemento centrale su cui competere, lasciando spazio all’economia illegale e allo sfruttamento del lavoro, che appaiono ormai quasi gli unici mezzi con i quali una parte del sistema imprenditoriale, non solo cinese, punta a sopravvivere, se non addirittura ad arricchirsi nella crisi”. Per questo, la Cgil auspica “che fenomeni di questa gravità siano perseguiti duramente e che la nostra regione si liberi, una volta per tutte, di ogni sacca di illegalità e sfruttamento del lavoro”.