Non so quali siano le soluzioni per uscire da una crisi che si vuole più grande di noi, non so decriptare le decisioni su scala mondiale di multinazionali dal potere assoluto, non so cosa indicano termini tecnici dal suono tetro tipo spending review o spread, non so perché il debito come per magia si fa improvvisamente sovrano, non so……
Non so le cause ma ne conosco perfettamente gli effetti sulla pelle della gente comune, effetti letali per un’umanità che sta smarrendo piano piano se stessa. Precarietà, insicurezza, angoscia, disoccupazione, frustrazione, impossibilità e chi più ne ha più ne metta. Tutte queste sensazioni stanno attraversando oggi l’intero tessuto cittadino di Terni. Una città cresciuta intorno alle sue fabbriche, fabbriche che in una via crucis senza fine sembrano destinate alla chiusura vuoi per delocalizzazione, vuoi per antitrust, vuoi per scelte (o meglio non scelte) di politica industriale, vuoi per…
Dopo la chimica uscita di scena senza troppo clamore sembra che oggi l’arroganza del potere multinazionale unita alla debolezza cronica dell’Italia nello scacchiere europeo ci voglia scippare la nostra fabbrica simbolo, una fabbrica che da più di un secolo scandisce ritmi e tempi del tessuto cittadino, quell’acciaieria che da sola attualmente da lavoro a circa 3000 persone e che da domani non si sa bene che fine faccia. Una città fiaccata inoltre da quella razionalizzazione delle spese nota come spending review che invece di colpire gli sprechi finisce con l’abbattersi sul lavoro vivo, con la cassa integrazione come ammortizzatore incapace di mitigare il martirio della speranza. Insomma un tessuto cittadino attaccato da più fronti, vittima tanto di una mancata politica industriale quanto di una sottrazione di risorse statali proprio nel momento del bisogno. Un tessuto cittadino abituato alla lotta ed alla difesa delle proprie ragioni che oggi sembra dover abbandonare l’ottimismo della volontà per entrare nel tunnel senza uscita del pessimismo della ragione. Non so perché, non so come, so solo che come tante altre donne non mi voglio arrendere a questa fine che sembra già scritta e da donna minacciata dalla spending review, compagna di un operaio che rischia di non essere più tale urlo la mia disperazione, la mia angoscia, la mia impossibilità certa che questa città forte del suo orgoglio farà la sua parte. Consapevole però che l’ orgoglio non sarà sufficiente se lasciato a se stesso, se le istituzioni di ogni ordine e grado (laiche e clericali) non si assumono le proprie responsabilità. Ad ognuno il suo compito a me oggi non rimane che urlare ai quattro venti la mia/nostra richiesta di aiuto, certa che solo attraverso la solidarietà ci si possa salvare certa che solo grazie al lavoro si possa mantenere quel principio vitale chiamato dignità.
Mara Proietti