Ast, la rabbia dei lavoratori, la sordità delle istituzioni: nessun fronte unito

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seduta straorinariaNon c’è un fronte unito. Visto quanto accaduto oggi, non può esserci, non ci sarà. Da una parte ci sono gli operai, la loro rabbia, le loro domande, le loro preoccupazioni. Dall’altra ci sono le istituzioni, rappresentanti politici ancora convinti di dover calare dall’alto le proprie soluzioni, indipendentemente che queste piacciano o meno ai diretti interessati. Il Consiglio comunale straordinario di Terni, che nelle intenzioni sarebbe dovuto servire a raccogliere spunti, compattare le forze ed indirizzarle verso una lotta gomito a gomito, è così servito a mettere in chiaro le divisioni, la netta spaccatura tra i lavoratori e le istituzioni.

Non aveva un compito semplice, ma di certo quella di questa mattina non è stata la migliore uscita pubblica del sindaco Leopoldo Di Girolamo che, di fronte alla folla infervorata, tentava come nulla fosse di continuare a leggere il suo intervento preparato a tavolino qualche ora prima. Così, nei momenti in cui gli operai concedevano un momento di silenzio, il sindaco riprendeva a parlare e pronunciava frasi come: “Passiamo ai ringraziamenti…” scatenando nuove e più veementi proteste. Un atteggiamento quasi grottesco che non poteva che accrescere la rabbia di chi, pur contestando con vigore, si sentiva ignorato, snobbato.

Snobbati, perché gli operai, almeno una parte di loro, indicano una strada ben precisa: quella di spingere per il commissariamento dell’azienda. Soluzione che vede il sostegno di associazioni e di alcuni esponenti politici ma di cui i rappresentanti delle istituzioni locali non parlano. Non che si dichiarino contrari, sembrano proprio rifiutarsi di affrontare l’argomento. Ed in parte è comprensibile il loro atteggiamento: affrontare questa ipotesi significherebbe dover mettere in discussione quanto sostenuto – o meglio, quanto negato – per anni. Significherebbe cioè parlare della situazione ambientale di Terni, riconoscere o meno la presenza di un inquinamento tale da poter consentire un commissariamento sulle orme di quello messo in atto per l’Ilva di Taranto. Argomento tabù.

Ma non c’è solo l’ipotesi del commissariamento per disastro ambientale, nei giorni scorsi sono state avanzate altre proposte alternative ad andare col cappello in mano a trattare con Thyssenkrupp (come avvenuto fino ad oggi, con i ben noti risultati). C’è chi, come il segretario di Cgil Terni, Attilio Romanelli, ritiene che il Governo debba “costringere” Tk a vendere subito Ast. Una strada che appare complicata: non è chiaro su quali norme si possa far leva per obbligare un’azienda a vendere a terzi dei propri stabilimenti. Teoricamente un po’ più attuabile – ma molto, molto difficile ed anche rischioso da mettere in pratica – appare l’intervento diretto dello Stato tramite il Fondo strategico nazionale ipotizzato ieri dal vicepresidente della Camera, Luigi Di Maio. In questo caso, pare di capire, bisognerebbe mettere in atto un esproprio poiché Thyssenkrupp non ha manifestato alcuna intenzione di vendere Ast nel breve periodo. Esproprio che sarebbe soggetto a ricorsi giudiziari e che rappresenterebbe un atto particolarmente rischioso per l’economia italiana, in grado di mettere in fuga dall’Italia i pochi investitori stranieri.

Neppure di queste più o meno possibili soluzioni e di eventuali altre, si parla. I rappresentanti delle istituzioni locali fin qui si sono limitati a ringraziare il Governo “per la paziente opera di mediazione” nonché a sollecitare – ottenendoli – dei nuovi incontri (giovedì un nuovo incontro a Palazzo Chigi). Ma a questi tavoli sembrano destinati a presentarsi a mani vuote, senza concrete proposte ne ipotetiche soluzioni (di cui, appunto, non parlano). O al limite con proposte tenute in gran segreto, maturate senza confronto con le parti interessate. Per giunta tutto avviene senza che sindaco e presidente della Regione mettano minimamente in discussione il modo d’agire del’Esecutivo che ancora oggi appare convinto di dover semplicemente vestire i panni dell’arbitro tra due parti in causa (l’azienda e i sindacati). Con il sottosegretario del Delrio che ha rivendicato la – fallimentare – mediazione messa in atto e che si dice ora intollerante alle critiche e con i ministri Guidi e Poletti che hanno ben chiarito di non voler andare oltre il ruolo di – aspiranti – conciliatori.

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