Un nome con accanto la scritta: “Mi ha succhiato anche l’anima”. Un biglietto di poche righe scritto poco prima di togliersi la vita ha permesso alla polizia di ricostruire le sofferenze e la disperazione causate dai comportamenti del socio in affari che ora è indagato per istigazione al suicidio. E’ la brutta storia del suicidio di un uomo di 62 anni originario di Spoleto e residente a Terni, che il 5 marzo scorso, si era lanciato nel vuoto dal viadotto di via Trevi, nei pressi dello svincolo Terni Est. L’allarme era stato dato da alcuni automobilisti che l’avevano visto saltare oltre le sbarre. L’uomo era precipitato sui binari morendo sul colpo (qui l’articolo).
All’interno della sua auto, lasciata parcheggiata sul ciglio della strada, gli agenti di polizia intervenuti avevano trovato dei documenti e un biglietto scritto di suo pugno dove, oltre a chiedere perdono ai suoi familiari, indicava quattro nomi accanto ai quali aveva scritto la parola “traditore” e ad uno in particolare: “mi ha succhiato pure l’anima”.
La seconda sezione della Squadra mobile ha avviato subito delicate ed accurate indagini che hanno portato alla denuncia di un uomo di 49 anni residente a Terni: è accusato di istigazione al suicidio e falsità materiale in atti privati. Gli agenti hanno infatti appurato che questa persona negli ultimi anni aveva tenuto un comportamento persecutorio nei confronti della vittima, controllandolo costantemente, emarginandolo a livello lavorativo e vessandolo in continuazione.
Già nel 2005 l’uomo aveva tentato un primo suicidio, sempre dettato dalle fragili condizioni psicologiche nelle quali si trovava. Nonostante il grave gesto, il socio non aveva minimamente cambiato atteggiamento, tanto che il 62enne aveva deciso di uscire dalla società e, con il benestare della compagnia, aveva trovato altre quattro persone con le quali creare un nuovo progetto, trovando in questo modo un rinnovato stimolo nell’ambiente di lavoro. La creazione della nuova società, e soprattutto l’uscita dall’altra, non era stata comunque un’operazione semplice, a causa anche dei continui ostacoli frapposti dal socio, che spesso si rifiutava di incontrarlo o di parlarci, riferendo di non avere tempo da perdere.
Nel frattempo, però, sempre il socio aveva creato un’agenzia d’affari che collaborava con la loro, nominando come amministratore la propria moglie che, come è stato poi accertato nelle indagini, non aveva mai partecipato fattivamente alle vicende societarie. Per questo motivo il 49enne è stato indagato, oltre che per istigazione al suicidio, anche per falsità materiale avendo firmato dei documenti al posto della moglie.