Ci sono volute meno di 12 ore agli uomini dell’Arma dei carabinieri per fermare Kujtim Beli, il presunto omicida di Demir Hyseni. Secondo quanto riportato dal colonnello Capasso del comando di Terni, il grande lavoro svolto dall’Arma, con il prezioso aiuto dei cittadini ascoltati subito dopo i fatti, aveva già portato nel primo pomeriggio al nome di Kujtim Beli, e grazie al controllo delle utenze era emerso che il sospettato era sbarcato a Bari il 10 luglio scorso, per poi muoversi in treno verso Terni.
Una volta allarmati i colleghi pugliesi c’è voluto poco per ritrovare nei pressi del porto di Bari la macchina intestata a Beli, e una volta messa in osservazione, la pazienza ha premiato gli uomini dell’arma che nel tardo pomeriggio con l’arrivo si sono visti il sospettato arrivare tra le loro braccia.
Da quello che emerge dalle indagini prende sempre più piede la pista dell’omicidio passionale, con la vittima e il colpevole che sembra si conoscessero da anni, con l’ultima telefonata, prima dell’incontro fatale, avvenuta la sera prima del delitto. Da lì sarebbe nato un diverbio che ha portato Beli a chiudere la questione la mattina dopo, a nulla è valso il tentativo di difendersi della vittima con un coltello che teneva nella busta del pranzo.
Il movente ruoterebbe intorno all’ex moglie del 60enne, con cui già aveva vissuto a Terni dal 2013 al 2015, relazione gli ha portato anche una denuncia per maltrattamenti. Nel periodo prima di separarsi avrebbe intrattenuto una relazione con Hysani, e da questo sospetto il rapporto di amicizia fra i due avrebbe iniziato a deteriorarsi, fino al triste epilogo di ieri mattina.
Mentre si è in attesa della convalida del fermo e della disposizione dell’autosia da parte del PM Perisi, oltre che di ulteriori esami da parte degli uomini del R.I.S., per Capasso restano pochi dubbi sulla colpevolezza del fuggitivo. Sia il tentativo di vendere la macchina al porto di Bari prima di imbarcarsi ma sopratutto la presenza di una busta, ritrovata nella macchina stessa, contenente indumenti identici a quelli che secondo i testimoni indossava l’assassino, fanno credere che il caso sia risolto.