Il fatto increscioso e grave avvenuto pochi giorni fa, in merito al furto attuato da un ternano e romeno di reperti archeologici industriali della vecchia impresa di cartoline Alterocca, e dei macchinari dell’ex Jutificio Centurini, risalenti al lontano ‘800, custoditi nei capannoni della ex carburo di Papigno, ha messo in evidenza la mancanza di una politica conservativa, da parte di Palazzo Spada, di reperti che testimoniavano la Terni industriale che fu, ormai persi per sempre in quanto venduti alle acciaierie di Terni e allo stesso tempo fusi.
Inevitabile che chi ha a cuore la storia della città sia ora amareggiato e indignato Tra questi, il presidente dell’associazione Italia Nostra, Andrea Liberati: “Quando molti anni fa venne abbattuto l’antistadio, qualche crepa si produsse anche nel rapporto tra Terni e una parte importante del suo tessuto culturale. Era una crepa che si aggiungeva a vere e proprie fratture della nostra storia contemporanea. Un sottile filo rosso lega l’episodio di allora rispetto a quanto avvenuto di recente con le tristi vicende del prezioso materiale Alterocca –l’impresa che diffuse nel mondo la cartolina illustrata- abbandonato da tempo in un grigio capannone unitamente alle spoglie ampiamente cannibalizzate dei macchinari dell’ottocentesco Jutificio Centurini. Questi fatti squarciano il velo su un tema fondamentale per capire il senso e anche il futuro di una comunità: qual è l’identità culturale di Terni? Come questa comunità, come i suoi dirigenti apicali, ne difendono il patrimonio storico, ambientale, monumentale e artistico?”.
Il presidente prosegue evidenziando che nonostante ci siano edifici di proprietà del Comune adatti ad ospitare reperti archeologici, questo non avviene per mancanza di volontà e passione: “Partiamo da un apparente dettaglio: i locali pubblici sarebbero già sufficienti per accogliere in sicurezza beni di interesse generale come quelli di cui si parla. Una ricerca catastale indica che le proprietà del Comune sono circa 5 mila tra edifici e terreni. Il problema non è che manchino gli spazi, ma che talora manchi la passione, l’amore per la città, l’interesse per la sua storia, anche perché, a furia di demolire il nostro passato, non si capisce più dove siano le nostre radici culturali, quale ne sia il cuore. Dopo le mutilazioni della guerra, non fu ricostruita l’antica città come pure altrove avvenne; qui, in modo pilatesco, abbiamo lasciato smarrire la memoria del bello, obliterando l’anima di Terni”.
Andrea Liberati continua mettendo in evidenza un fatto analogo che attualmente sta avvenendo in città: “Cade perciò la tensione etica, che è anche vigilanza: ma su cosa vigilare, se poi distruggiamo tutto? Largheggia la rassegnazione al brutto e all’incongruo. Se già nel lontano 1430 un bando sanzionava l’asportazione delle pietre, perché quasi 600 anni dopo si consente in via della Rinascita l’annichilimento di parte delle vestigia medievali, salvo tentarne un’agghiacciante ricostruzione in cemento, per far posto a un palazzo completamente fuori contesto e la cui sagoma non entra nelle mura? Trattandosi di manufatti pubblici molto risalenti nel tempo, sono sottoposti a tutela monumentale ope legis (art.10, 12, D. Lgs. 42/2004), perché allora sono stati abbattuti?”.
Il presidente conclude dichiarando come non può esserci in generale futuro se non si tutela prima il proprio passato: “L’esito degli atti di autoflagellazione compiuti dalle classi dirigenti è una crisi di identità, senza fine sciolta in una ‘ternitudine’ che è l’atteggiamento malinconico di chi sa di essere ne carne, ne pesce. La perdita del materiale Alterocca e Centurini, e potenzialmente altro, allo stesso modo della mancata riparazione del tessuto urbanistico originario, sono la risultante di una tendenza autodistruttiva che occorre respingere insieme con forza. Come si può ripartire e parlare di futuro, di lavoro per i giovani, se si persevera nel non rispettare l’opera di chi ci ha preceduto, in fin dei conti la nostra stessa storia?”.