Nel pieno di una torrida estate funestata dagli incendi, è esploso il dibattito sul futuro della città di Terni. Dopo la decisione del governo Monti di sopprimere l’ente della Provincia di Terni, i cittadini, i politici ed i rappresentanti delle istituzioni locali sono impegnati nell’immaginare soluzioni e scenari per la città di San Valentino. Le principali ipotesi in campo riguardano:
1) un riequilibrio del territorio dell’Umbria con il passaggio di alcuni Comuni dalla Provincia di Perugia a quella di Terni che consenta a quest’ultima di rientrare nei parametri stabiliti dal governo Monti;
2) un cambio di regione, dall’Umbria al Lazio, con Terni che si ritroverebbe in Provincia di Roma (o comunque all’interno dei confini della città metropolitana) oppure in una nuova provincia formata dai territori di Viterbo e Rieti (si tratta di Province destinate anch’esse a sparire e che dovranno quindi accorparsi);
3) la Provincia viene salvata da un emendamento presentato in Parlamento;
4) prende vita la provincia Perugia-Terni sul modello di quella di Pesaro-Urbino;
5) Terni confluisce nella Provincia di Perugia
6) per completezza aggiungiamo anche l’ipotesi che attualmente non ha alcuna possibilità di essere realizzata: il passaggio di Terni alla regione Toscana;
7) infine c’è da valutare la possibilità che la riforma del governo Monti che, tra le altre, taglia la Provincia di Terni, si riveli anticostituzionale e quindi nulla.
BASSO LIVELLO DEL DIBATTITO. Cominciamo registrando un dato di fatto che non sta aiutando il progresso del livello del dibattito: i sostenitori dell’una o dell’altra ipotesi fino ad oggi si sono prodigati nel demolire e criticare quanto proposto dai propri “avversari”, senza però fare cenno a quali vantaggi comporterebbe seguire i percorsi da loro indicati. Così, il comitato promotore del referendum di Terni con il Lazio ha criticato in maniera valente e dettagliata la permanenza in Umbria della città ma si è limitato a pochissime e superficiali argomentazioni circa i vantaggi di un cambio di regione; lo stesso ha fatto il sindaco Leopoldo Di Girolamo che ha sapientemente snocciolato i problemi del Lazio e le difficoltà che Terni incontrerebbe nel caso finisse sotto tale amministrazione, senza però indicare un valido motivo per continuare ad essere legati a Perugia. Insomma, tutti impegnati nella pars destruens, mentre della più importante pars costruens non vi è che qualche nebuloso sprazzo. Alcuni cittadini si sono rapidamente adeguati ad un tale basso livello ed hanno ridotto la questione ad un antagonismo calcistico; altri cercano invece di documentarsi e avanzare proposte costruttive.
IMPREVEDIBILITA’ DEGLI SCENARI. Quelle che seguono sono considerazioni ponderate su quanto fino ad oggi è dato conoscere: va però tenuto conto della difficoltà di immaginare scenari istituzionali su cui esistono ben pochi studi ed analisi tecniche e sui quali entrano in gioco una miriade di fattori: irrazionali campanilismi, antagonismi politici, grandi complessità di alcuni iter burocratici e politici, interessi personali di alcuni rappresentanti in conflitto con quelli collettivi, una politica nazionale in subbuglio, il movimento grillino dietro l’angolo pronto a sparigliare le carte ed altri elementi ancora che rendono quasi impossibile la ricostruzione totale del puzzle.
1) RIEQUILIBRIO TERRITORIALE DELLE DUE PROVINCE UMBRE. Per quanto riguarda la possibilità di un riequilibrio territoriale, va tenuto conto che attualmente l’ente di Terni non rientra in nessuno dei due requisiti minimi previsti per l’esistenza di una provincia: per quanto riguarda la popolazione, sono richiesti 350 mila abitanti e Terni ne conta 234 mila, mentre per quanto concerne l’estensione territoriale occorrono 2500 chilometri quadrati e l’attuale ente presieduto da Polli ne annovera 2122. Sarebbe quindi necessario il passaggio dalla Provincia di Perugia a quella di Terni di numerosi Comuni. Nell’ipotesi di Terni Oggi dovrebbero cambiare targa da Pg a Tr 18 Comuni: Todi, Massa Martana, Spoleto, Cascia, Norcia, Preci, Scheggino, Campello sul Clitunno, Castel Ritaldi, Cerreto di Spoleto, Monteleone di Spoleto, Montefalco, Collazzone, Marsciano, Gualdo Cattaneo, Bevagna, Deruta e Trevi. Una simile consistente integrazione consentirebbe alla Provincia di Terni di superare ampiamente i 2500 chilometri quadrati di estensione territoriale richiesti dal governo e permetterebbe di arrivare a quota 369 mila abitanti (234 mila attuali a cui si aggiungerebbero circa 135 mila), cioè più del minimo richiesto dal governo (350 mila). La nostra ipotesi esclude quindi il passaggio di Foligno a Terni: un passaggio che, è facile prevedere, molti politici umbri ostacolerebbero con tutti i mezzi, facendo naufragare, senza necessità di ulteriori motivi, il riequilibrio territoriale.
Questa l’ipotetica mappa della nuova Provincia di Terni (i nuovi confini risultano essere inevitabilmente approssimativi trattandosi di una bozza):
Visualizza Nuova ipotetica Provincia di Terni in una mappa di dimensioni maggiori
E’ chiaro che per concretizzare tale riequilibrio, bisogna prima di tutto fare i conti con l’ente presieduto da Marco Vinicio Guasticchi. Proprio quest ultimo, pur criticando la decisione del governo Monti, non ha mai fatto cenno ad un riequilibrio territoriale: nelle sue parole non si intravedono barlumi di volontà di cedere alcunché. Nemmeno il presidente della Provincia di Terni, Feliciano Polli, ha mai avanzato una simile richiesta. L’unica istituzione che fino ad oggi ne ha fatto cenno è il Consiglio comunale di Terni: in un atto di indirizzo approvato all’unanimità, il riequilibrio territoriale viene menzionato come “piano B” nel caso il governo non cambiasse idea circa la soppressione dell’ente ternano.
Qualora ci fosse un’accelerazione sulla volontà di riequilibrare le due province, non sarebbe necessario il parere dei consigli comunali ma ad esprimersi dovrebbe essere il Consiglio delle autonomie locali (Cal) presieduto da Di Girolamo e composto dai due presidenti delle province e da alcuni sindaci umbri. La decisione del Cal dovrebbe poi essere recepita dalla Regione che dovrebbe emanare un atto e trasmetterlo al governo per far poi diventare legge il nuovo riordino.
2) TERNI CON IL LAZIO. L’ipotesi di Terni con il Lazio è più che mai concreta: il Comitato Terni con Perugia o con Roma? Referendum ha già raccolto un migliaio di firme per richiedere un referendum sul cambio di regione della città di San Valentino. Secondo i piani del comitato promotore, Terni nel Lazio sarebbe “non solo città cerniera tra Rieti e Viterbo, ma anche capace di assecondare gli stimoli che vengono da Roma, rendendosi però ben più appetibile e attrattiva di quanto non sia stato fatto finora”.
Il comitato ha quindi motivato la volontà di abbandonare l’Umbria snocciolando una serie di ingiustizie e di iniquità. “La ripartizione della spesa tra Perugia e Terni – è uno dei punti messi in luce dal comitato – vede tuttora la prima largamente prevalente. Basti pensare all’ultima indagine al riguardo, uscita nel 2003, che vedeva convergere su Perugia il 78% della spesa mentre a Terni (27% della popolazione complessiva) il resto, senza considerare che le Acciaierie rappresentano il 25% del PIL regionale: è giusto?”.
Il referendum avrà quasi certamente luogo: presto i ternani saranno chiamati ad esprimersi sul futuro della città (sulla permanenza in Umbria o sul passaggio nel Lazio) visto che l’obiettivo di 2500 firme necessarie per richiedere il referendum sembra a portata di mano e dovrebbe essere raggiunto con largo anticipo rispetto ai 55 giorni ancora disponibili. Nel caso i cittadini approvassero la proposta di referendum di passare al Lazio, si avrebbero ulteriori passaggi istituzionali prima di poter ottenere il cambio di regione. Il dibattito, come disciplinato dall’art. 132 della Costituzione, dovrebbe infatti a quel punto proseguire in Parlamento, chiamato a decidere del possibile cambiamento di confini dopo aver sentito il parere obbligatorio, ma non vincolante, delle Regioni. Qualora il Parlamento bocciasse la proposta, questa non potrebbe essere rinnovata prima che siano trascorsi cinque anni.
Bisogna comunque tenere presente il lungo iter burocratico che si nasconde dietro le poche righe di testo che lo descrivono. Per farsi un’idea dei tempi che occorrono per completare un passaggio da una regione all’altra, basta citare il caso del Comune di Montecopiolo, 1200 abitanti a Nord delle Marche. Nel 2007 la maggior parte degli aventi diritto al voto ha risposto “sì” al referendum per il passaggio con l’Emilia Romagna, in provincia di Rimini. Ad oggi Montecopiolo è ancora un territorio marchigiano, in attesa che l’iter venga completato. Non sono quindi bastati 5 anni per concretizzare la scelta dei cittadini.
Visti i tempi biblici in cui si imbatte un Comune che abbia intenzione di cambiare regione di appartenenza, ad oggi possiamo immaginare che Terni nel Lazio approderebbe solo tra diversi anni, quando le province di Viterbo e Rieti (soppresse anch’esse dal governo Monti) avrebbero già risolto in qualche modo la questione dell’ente provinciale, probabilmente dando vita ad una fusione tra di esse. Terni si potrebbe quindi trovare tra qualche anno a fare ingresso in una provincia Viterbo-Rieti, nella quale dovrebbe poi sollevare la richiesta di trasformare l’ente provinciale in Viterbo-Rieti-Terni. Insomma, una situazione piuttosto ingarbugliata.
I lunghi tempi della burocrazia italiana non possono però costituire un motivo di rassegnazione e di rinuncia al sacrosanto diritto dei cittadini di esprimersi e di autodeterminare l’appartenenza ad un territorio piuttosto che ad un altro. E’ auspicabile, e forse ipotizzabile, che nell’ambito del vasto riassetto istituzionale in corso, il governo garantisca tempi rapidi e percorsi facilitati per operazioni di questo tipo.
Bisogna però chiedersi a questo punto: quali sarebbero in vantaggi legati ad un approdo di Terni nel Lazio? Il comitato promotore del referendum si limita ad indicarne uno indiretto: quello di sottrarsi finalmente alle angherie perugine e di mettere fine all’impero della piccola politica locale peruginocentrica. Troppo poco, tenuto conto che, in una visione pessimistica, esiste il rischio di cadere dalla padella alla brace. Occorre, da parte dei promotori, un’analisi dettagliata sul futuro che immaginano per la città nella nuova regione, servono studi, confronti con le istituzioni del Lazio. Serve in una parola un progetto. Va comunque detto che il comitato ha ancora molto tempo per esporre le idee a riguardo visto che il referendum non verrà indetto prima di diversi mesi.
3) GLI EMENDAMENTI IN PARLAMENTO. Il governo Monti porrà la fiducia sulla manovra della spending review (che comprende anche il taglio delle province): non ci sono quindi margini per una modifica dei parametri richiesti per tenere in vita gli enti provinciali. In Commissione Bilancio del Senato però, prima del voto in aula, verrà dibattuto un emendamento presentato dal senatore umbro del Pd, Mauro Agostini, che chiede di non dar luogo alla “coincidenza tra istituzione regione e unico ambito provinciale”, cioè quello che si verificherebbe in Umbria con la Provincia di Perugia che si estenderebbe sull’intera regione. Stessa cosa si verificherebbe in Basilicata. La senatrice umbra del Pdl Ada Urbani ha invece presentato un altro emendamento che non metterebbe in salvo l’ente provinciale ma farebbe sì che a Terni rimanessero in essere tutti gli uffici periferici dello Stato legati alla provincia come la prefettura e ad altri “centri direzionali, amministrativi e legislativi”.
4) UNA PROVINCIA PERUGIA-TERNI SUL MODELLO PESARO-URBINO. Nessun esponente delle istituzioni locali ne ha ancora parlato apertamente ma siamo pronti a scommettere che la proposta arriverà molto presto sul tavolo dei presidenti delle due province umbre. Sarebbe infatti la soluzione che permetterebbe a Perugia di mantenere accentrato il potere ed i centri decisionali, e agli amministratori di Terni di mettere una pezza sullo scippo dell’ente. In realtà più che una pezza, sarebbe una striminzita foglia di fico. Il modello sarebbe infatti quello della Provincia di Pesaro-Urbino ed è chiaro che chi dovrebbe assumere il ruolo di Urbino (che è del tutto priva di uffici provinciali e organi amministrativi) sarebbe Terni. Si tratterebbe quindi di rinunciare ad uffici, posti di lavoro e sedi amministrative (i ternani dovrebbero quindi recarsi nelle sedi di Perugia per atti burocratici legati alla Provincia) ma con la beffarda possibilità di affermare la propria “non peruginità”. Un modo per tranquillizzare chi, principalmente per motivi calcistici, non vuol sentir parlare della possibilità di ritrovarsi sulla propria carta d’identità l’odiata sigla (Pg). Insomma, si salverebbero le apparenze ma si creerebbero gravi disagi ai residenti di Terni.
5) TERNI CONFLUISCE NELLA PROVINCIA DI PERUGIA. Una soluzione certamente più onesta rispetto a quella di dar vita ad una beffarda provincia Perugia-Terni, ma dagli analoghi risultati, è l’ipotesi in cui la città di San Valentino confluisca nella Provincia perugina. Cosa comporterebbe un simile passaggio (che tra l’altro è l’ipotesi ad oggi prevista dalla riforma del governo Monti)? Addio prefettura, questura, comandi provinciali di carabinieri, vigili del fuoco, guardia di finanza. Addio agli uffici provinciali, posti di lavoro connessi che si sposterebbero gradualmente a Perugia. Per i ternani la E45 diventerebbe sempre più familiare: qualunque atto o documento legato all’amministrazione provinciale non sarebbe più a portata di mano ma a poco meno di un centinaio di chilometri.
6) PASSAGGIO DI TERNI ALLA REGIONE TOSCANA. Sulla carta è possibile: la Provincia di Terni confina con quella di Siena (destinata ad essere soppressa anch’essa). In realtà non c’è in vista alcun referendum che chieda il passaggio di Terni alla regione Toscana. Si tratta di un’ipotesi che qualche cittadino ha avanzato pur di non finire ne con Roma ne con Perugia, ma che, oltre a non trovare promotori, avrebbe gli stessi problemi di applicazione, se non maggiori, rispetto al passaggio con la regione Lazio.
7) INCOSTITUZIONALITA’ DELLA RIFORMA MONTI. Sono in molti a sperare di risvegliarsi da un brutto sogno e vedere la Corte costituzionale bocciare senza appello la soppressione delle Province voluta dal governo Monti. Proprio nelle ultime ore rivolgendosi all’Upi, molti rappresentanti delle Province a rischio soppressione hanno chiesto “che sia immediatamente denunciata la incostituzionalità dell’art.17 del decreto Monti e che sia sospesa ogni disponibilità a collaborare col governo Monti sulla riorganizzazione e il riassetto delle Province, perchè il decreto non ha accolto alcuna delle fondamentali richieste avanzate dall’Upi (dalle funzioni delle Province al coinvolgimento delle stesse nei processi di riorganizzazione, dall’elezione diretta degli organi provinciali all’assetto delle Aree Metropolitane)”. Il documento non è comunque stato firmato dal presidente della Provincia, Feliciano Polli.
Oltre al muro contro muro cui sono intenzionati ad andare i presidenti degli enti firmatari del documento, c’è davvero la possibilità che la soppressione delle Province sia incostituzionale? Il profilo di incostituzionalità riguarderebbe “l’iniziativa legislativa che si è auto-attribuita il governo in materia di revisione delle circoscrizioni provinciali, in contrasto con la previsione dell’art. 133 della Costituzione, che invece attribuisce tale iniziativa ai Comuni”. Sulla questione non è ancora arrivato un parere netto di un costituzionalista.
Nel corso dei giorni ulteriori ipotesi si fanno strada:
E’ partita una raccolta firme di un comitato reatino per il passaggio di Rieti in Umbria, per un accorpamento con la provincia di Terni: https://ternioggi.it/ipotesi-rieti-accorpata-alla-provincia-di-terni-nel-reatino-ce-gia-una-raccolta-firme
Intanto continua il sondaggio tra i nostri lettori:
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