Tutte le ombre di Mafia Capitale su Terni: gli affari di Buzzi e Mancini

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Buzzi-ManciniSu Terni si allunga l’ombra di Mafia Capitale. Si tratta di vicende estranee alle indagini che stanno squassando Roma ed in cui, per fortuna, non appare una diretta contiguità tra la politica locale ed il gruppo criminale. Eppure si tratta di fatti inquietanti. Traspare infatti la facilità con cui elementi di un’organizzazione criminale possano infiltrarsi a Terni senza incontrare resistenze da parte delle istituzioni o possano entrare in affari con importanti realtà economiche locali.

Nelle carte delle indagini non ci sono diretti riferimenti a Terni ma due dei principali esponenti dell’associazione criminale hanno avuto in qualche modo a che fare con la città umbra. Il primo è Salvatore Buzzi, figura chiave (insieme a Massimo Carminati), “re delle cooperative rosse”. Attraverso una rete di cooperative (tra le quali la “29 giugno”) gestiva le attività economiche dell’associazione nei settori di raccolta e smaltimento dei rifiuti, dell’accoglienza dei profughi e rifugiati, della manutenzione del verde pubblico e in altri settori oggetto di gare pubbliche romane (che venivano aggiudicate a suon di mazzette). Si occupava inoltre della contabilità occulta e dei pagamenti ai pubblici ufficiali corrotti. Era insomma uno dei perni su cui ruotava gran parte del business.

Il secondo è Riccardo Mancini, già finito in carcere nel gennaio 2013 per un’altra inchiesta (in qualità di amministratore delegato di Eur spa, è accusato di aver preso tangenti per favorire un’azienda in un appalto per la fornitura di autobus). Secondo gli inquirenti, tra il 2008 e il 2013, Mancini ha fornito il proprio “stabile contributo” all’associazione criminale sia agevolando l’aggiudicazione di appalti che curando i rapporti tra l’associazione stessa e l’amministrazione comunale (era uomo di fiducia dell’ex sindaco, Gianni Alemanno).

BUZZI Salvatore Buzzi ha avuto un importantissimo legame con una delle più grandi cooperative della provincia di Terni: la Cosp Tecno Service (Cosp, va ribadito, non è in alcun modo coinvolta nelle indagini). Un legame durato ben 12 anni. Il rapporto di affari è iniziato il 4 dicembre del 2000, quando proprio a Terni è stato costituito il Consorzio raccolta differenziata Roma scarl. Del consorzio facevano parte la coop “29 giugno” e la Cosp Tecno Service. Buzzi era presidente e consigliere del cda di tale consorzio.

Ad aprile 2001 il consorzio si è aggiudicato l’appalto della raccolta differenziata negli esercizi commerciali di Roma. Nel 2007 al consorzio si è aggiunta la coop Formula Ambiente (di cui Buzzi era cofondatore). A marzo 2008 il consorzio ha cambiato ragione sociale: Consorzio Raccolta Differenziata Roma Due scarl. Il primo luglio 2008 il consorzio si aggiudica anche l’appalto della raccolta della frazione organica del Comune di Roma. Pochi mesi dopo, a settembre, un nuovo cambio di ragione sociale: Consorzio Raccolta Differenziata Roma Tre (ognuna delle tre cooperativa vi partecipa al 33,33%). A marzo 2009 il Crd 3 si aggiudica un altro appalto, bandito da Ama, per la raccolta di vetro, plastica e metalli.

Il consorzio ha operato fino a dicembre 2012 quando la cooperativa 29 giugno ha rilevato le quote di Cosp Tecno Service e Formula Ambiente continuando quindi da sola a gestire le attività legate alla raccolta differenziata del rifiuto organico e del multimateriale nel Comune di Roma.

MANCINI Il legame di Riccardo Mancini con Terni è noto da circa due anni, da quando cioè, a seguito dell’indagine “appaltopoli”, è uscito un articolo su La Repubblica, ripreso e approfondito dal Comitato No Inceneritori Terni. E’ ora il caso di ricordare e aggiungere qualche dettaglio a quella che pare una vicenda particolarmente rilevante poiché in grado di mettere in evidenza la vulnerabilità di Terni a possibili infiltrazioni criminali.

Come spiegava il dossier del Comitato No Inceneritori Terni di gennaio 2013 “nel 2010 ACEA per conto dell’allora TerniENA pubblica un bando per l’aggiudicazione dei lavori di revamping dell’inceneritore di Terni per un valore stimato di poco superiore ai 19 milioni di euro con il criterio di aggiudicazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa. Arrivano due proposte. L’appalto viene aggiudicato per 16 milioni dalla IBI spa, società di Napoli, che gestisce diverse discariche e impianti in Campania e Sicilia, la quale però a fine 2010 viene colpita da interdittiva antimafia per una inchiesta in Sicilia per fatti relativi al 2003. ACEA quindi recede il contratto con tale società. Viene fatto un nuovo bando con una procedura negoziata senza previa indizione di gara (art. 221 D.Lgs. 163/2006) sempre con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa e nell’ottobre 2011 l’appalto se lo aggiudica una Associazione Temporanea d’Impresa, la TERNI scarl in cui figurano diverse società: Intercantieri Vittadello Spa (capofila), LOTO Impianti srl, IGM Ambiente e SO.GE.RI. srl”.

Caso vuole che la Sogeri fosse di proprietà di un’altra azienda, la Treerre spa la cui maggioranza (60%) era nelle mani della Emis spa, che era controllata al 99% da Riccardo Mancini. Spiegava Autieri di Repubblica: “Come insegna il gioco delle scatole cinesi, la gerarchia azionaria della Emis conduce fino alla SoGeRi, la società aggiudicatrice dell’appalto, che Mancini controlla per intermezzo delle altre aziende che fanno da filtro”. Ed infatti è proprio Riccardo Mancini a sedere nel cda di Terni scarl per conto della Sogeri (dal 9 novembre 2011 al 5 novembre 2012).

Se a ottobre 2011 la presenza di Mancini poteva non rappresentare ancora un elemento di sospetto, altri campanelli di allarme avrebbero forse dovuto richiamare l’attenzione delle istituzioni ternane su Terni scarl.

La capofila Intercantieri Vittadello, risultava essere stata indagata più volte (accusata nel 2008 di aver utilizzato dei rifiuti speciali da smaltire per lavori stradali i fanghi del porto di Oristano e nel 2011 accusato di far parte del “Sistema Sesto”). Non mancavano guai nemmeno per la Igm (legata a doppio filo con la Loto e nel 2009 finita al centro di un’indagine della Commissione Parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti che aveva lo scopo di accertare come mai la stessa impresa, l’Igm appunto, fosse aggiudicatrice da oltre 40 anni del servizio di gestione dei rifiuti di Siracusa).

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