Intrecci di società, compravendite immobiliari, ristrutturazioni, debiti milionari, amicizie importanti, commissariamenti, intercettazioni telefoniche. La recente storia della Diocesi di Terni, ripercorsa nelle ultime settimane dalla stampa e finita nel mirino della magistratura, appare un groviglio inestricabile di affari immobiliari e rapporti di potere. Eppure fino ad un mese fa nessuno ha mai sentito parlare di tali vicende, salvo qualche timida voce di corridoio, qualche illazione, pochi e confusi indizi. Dal 2000, anno in cui monsignor Vincenzo Paglia ha assunto la guida della diocesi Terni-Narni-Amelia, ad oggi, la Curia ha accumulato 18 milioni di euro di debiti (c’è chi ipotizza cifre superiori) senza destare alcuna attenzione. Il debito cresceva in silenzio, i rapporti di potere si intrecciavano e si scioglievano senza che nessuno disturbasse i manovratori. Dodici anni di pace e tranquillità mediatica. E allora perché, proprio ora, questo riserbo sulle vicende della diocesi, questo religioso silenzio, è stato spezzato? Per volere delle alte sfere del Vaticano, a quanto pare.
Società, immobili, debiti. Dall’arrivo a Terni di Paglia, uomini della Diocesi ternana o vicini ad essa, hanno fatto e disfatto numerose società, per lo più attive nel settore immobiliare: valorizzazione e promozione immobiliare, locazione immobiliare, costruzione di edifici ma anche gestione di strutture ricettive.
Per avere idea dell’intensa e vorticosa attività, valga ad esempio una recente vicenda: una delle società nell’orbita della diocesi, la Doces srl di Terni, poco tempo fa è stata coinvolta in una vicenda giudiziaria relativa all’immobile del Grand Hotel Terme Salus Pianeta Benessere di Viterbo. ”La Kurhouse International srl – spiega un legale della società che gestisce l’immobile – stipulò un contratto di locazione nel febbraio 1991 con la società Gestervit srl, allora di proprietà di società facenti capo al Gruppo Governatori. Nel 2000, a seguito di una esecuzione immobiliare effettuata a danno della Gestervit, con conseguente messa all’asta dell’immobile, le quote della Gestervit furono acquistate dalla Società Doces srl di Terni, i cui soci fra l’altro erano don Francesco De Santis e Luca Galletti (entrambi con ruoli di spicco nella Diocesi di Terni). Negli anni successivi, avvennero alcune cessioni di quote per giungere alla situazione attuale, dove la Gestervit (50% Luca Galletti – 50% Goma srl, società in cui figura lo stesso Galletti) ha ceduto nel 2007, ad una società unipesonale (proprietà 100% Gestervit) denominata Gestervit Terme srl, il ramo d’azienda afferente l’immobile del Grand Hotel Terme Salus di Viterbo”. “E’ poi iniziata una lunga serie di trattative con i rappresentanti della Diocesi di Terni aventi come oggetto la transazione a chiusura delle pendenze giudiziarie”.
E’ invece del 2006 la fondazione della Accoglienza Diocesana, operata da monsignor Francesco De Santis (pro vicario generale della Diocesi) e don Antonio Maniero (vicario generale della Diocesi). Si tratta, spiega il sito internet della stessa fondazione, di “un’impresa sociale con lo scopo di gestire con ottica imprenditoriale strutture a carattere ricettivo e para-ricettivo per l’accoglienza di gruppi, famiglie e semplici turisti, e con un’attenzione particolare alle esigenze del mondo ecclesiale”. In sostanza gestisce strutture ricettive di medio-alto livello (non ricoveri per indigenti). Ad esempio un’attuale offerta per un pernottamento di 3 notti in una delle strutture è fissata al costo di 100 euro, proprio quanto si spende con offerte in medi agriturismi o altre strutture ricettive italiane.
C’è anche la vicenda dell’edificio delle scuole Orsoline: venduto nel 2003 dalle suore di Parma all’Istituto diocesano per il sostentamento del clero (IDSC) di Terni (all’epoca il rappresentato legale era Luca Galletti), ad un prezzo inferiore a quello di mercato dietro l’impegno di effettuare lavori di restauro (impegno riportato nelle scritture private della compravendita). In realtà nessuna riqualificazione e nessun restauro fu effettuato: l’IDSC, appena finito di pagare, lo rivendette nel 2006 ottenendo una plusvalenza di circa 290 mila euro. Ad acquistarlo il costruttore Eugenio Montagna Baldelli che al contempo era membro dello stesso IDSC.
Nel corso degli anni, altre società immobiliari sono state gestite da uomini di spicco della Diocesi, alcune delle quali con la stessa sede legale indicata in una via del centro di Terni. Un’intensa e legittima attività immobiliare che però non sembra aver portato buoni frutti alle casse della Curia: Repubblica parla di 18 milioni di euro di debiti attribuiti alla gestione Paglia. Tale cifra sarebbe stata riportata nell’ormai celebre (ma inaccessibile al pubblico) Relationem che 3 cardinali (incaricati dal Papa di indagare sulle lotte intestine all’interno della Curia, sfociate poi nel caso Vatileaks), hanno consegnato recentemente allo stesso Benedetto XVI, poco prima che si dimettesse da Pontefice. Nel dossier si parla di 15 milioni di euro di debiti bancari per ristrutturazione di patrimonio immobiliare e di 3 milioni di euro di prestiti alla parrocchie.
A febbraio è stato infine nominato amministratore apostolico della Diocesi monsignor Ernesto Vecchi: di fatto un commissario che avrà l’arduo compito di fare un po’ di ordine tra i conti in rosso.
Paglia e i potenti. In queste settimane la figura di monsignor Vincenzo Paglia, vescovo per 12 anni della Diocesi di Terni e ora in Vaticano nel ruolo di presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia e molto vicino alla nomina cardinalizia, è al centro dell’attenzione mediatica della stampa nazionale; non solo il buco milionario lasciato nella Diocesi, ma anche altre vicende. Emergono infatti profili che lo dipingono come “il vescovo politico” o “il padre spirituale dei potenti”. Sono stati ricordati suoi stretti rapporti con Andrea Riccardi, ministro nel governo Monti per la cooperazione internazionale e l’integrazione e fondatore della Comunità di Sant’Egidio (di cui Paglia è consigliere spirituale). Sono stati rievocati i rapporti con Angelo Balducci, uomo cardine della così detta “cricca dei grandi eventi” quando era alla guida del Consiglio superiore dei Lavori pubblici. Ricordate le amicizie con gli ex presidenti della Repubblica Francesco Cossiga e Oscar Luigi Scalfaro. Sono stati pubblicati anche brevi passaggi di intercettazioni telefoniche tra Paglia e l’attuale presidente del Consiglio dell’Umbria, Eros Brega, nei quali si intuirebbe un ruolo di primo piano del vescovo nelle questioni della politica locale. E’ stata attribuita a Paglia la “gestione del caso Boffo”.
La fabbrica dei veleni vaticana. Secondo Repubblica, Paglia è finito in alcune pagine del Relationem: il dossier sulle lotte di potere interne al Vaticano realizzato da 3 cardinali su richiesta di Ratzinger (secondo alcuni sarebbe proprio il contenuto del Relationem la vera causa delle dimissioni di Benedetto XVI). Perché delle circa 300 pagine del dossier, tra i non molti passaggi che trapelano, ci sono proprio quelli che riguardano Paglia? E perché la fallimentare gestione economica della Diocesi era già salita agli onori delle cronache nazionali prima ancora che i 3 cardinali lo riportassero nel Relationem?
Per Repubblica le attenzioni mediatiche (e giudiziarie) nei confronti di Paglia sarebbero state volute e propiziate dalle alte sfere del Vaticano: le vicende della Diocesi ternana sarebbero insomma finite nel bel mezzo di giochi di potere d’Oltretevere. Probabilmente per ostacolare la carriera ecclesiale di Paglia, forse senza personalismi ma solo per una strana forma di “par condicio”.
La “congiura” contro Paglia sarebbe uno sviluppo di quanto stabilito il 13 marzo 2012: in quella data si sarebbero incontrati il cardinale e Segretario di Stato Vaticano, Tarcisio Bertone; il cardinale Attilio Nicora, presidente dell’Autorità di Informazione Finanziaria (AIF, una recentissima istituzione di controllo vaticana voluta da Ratzinger) e gli altri vertici di AIF; Paolo Cipriani (direttore generale dello Ior, la banca vaticana); l’arcivescovo Ettore Balestrero (all’epoca in Vaticano come sottosegretario per i Rapporti con gli Stati e pupillo di Bertone) e altre importanti figure. Al centro dell’incontro c’è lo Ior, eterna protagonista di scandali e misteri; la banca vaticana ha spesso eluso collaborazioni con la magistratura italiana rifiutando di fornire informazioni potenzialmente utili per molte importanti indagini.
“Uno dei presenti – racconta Repubblica – suggerisce che ‘sarebbe bene autorizzare la magistratura ad indagare su quattro casi minori, daremmo così l’impressione di cominciare a collaborare’. Bertone e Balestrero ne convengono. I casi minori sono don Salvatore Palumbo della parrocchia di San Gaetano, Emilio Messina dell’arcidiocesi di Camerino, il catanese Orazio Bonaccorsi e don Evaldo Biasini detto ‘don Bancomat’ indagato nell’inchiesta di Perugia sui Grandi eventi della Protezione civile”. Alcune indagini procedono lentamente, “nel frattempo la fabbrica dei veleni vaticana mette in circolo le carte relative al ‘buco’ di Don Paglia”. A spingere per questa soluzione sarebbe stato soprattutto Balestrero che, scrive ancora Repubblica, “si sa, è uomo assai stimato dall’ex premier Berlusconi. Paglia invece è un esponente della sinistra ecclesiastica”. La logica sarebbe quella della par condicio: “La struttura di comando di Bertone fa filtrare informazioni che mettono alla stessa stregua destra e sinistra vaticana: tutti colpevoli nessun colpevole”.
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