Veleni e rifiuti sotto, coltivazioni di ogni tipo sopra. E’ davvero alto il rischio che sulle tavole di molti ternani siano finiti ortaggi contaminati. Un fatto inquietante, accennato in documenti regionali che per anni sono rimasti avvolti dal silenzio, riemersi soltanto lo scorso agosto con delle interrogazioni presentate dal Movimento 5 Stelle di Terni. I pentastellati hanno formulato le loro domande sulla base di un documento della Regione Umbria del 5 maggio 2009, un allegato al piano regionale di bonifica.
In quel documento sono indicati, mappati e descritti dall’Arpa 7 siti di interesse regionale di bonifica che si trovano a Terni e che sono ritenuti “a forte presunzione di contaminazione”. Ognuno ha una propria storia particolare e per alcuni è messo nero su bianco che rifiuti e coltivazioni sono separati soltanto da un metro di terra.
Va poi precisato che nel 2009 l’agenzia regionale riproponeva quanto aveva già segnalato 5 anni prima, nel 2004, in occasione della legge regionale 21 luglio 2004, n. 14 “Ripristino ambientale dei siti inquinati e disciplina del Piano per la bonifica delle aree inquinate”. La stessa Arpa specificava che da allora, per i 7 siti ternani, “la procedura non è stata attivata”. Cinque anni erano passati invano, senza che le istituzioni avessero fatto alcunché per quei siti “a forte presunzione di contaminazione”. Ed apparentemente altri 6 anni sono trascorsi allo stesso modo.
E’ questo il punto centrale: le istituzioni locali sapevano da molti anni ma non sono intervenute, o lo hanno fatto con spaventosi ritardi. Già nel 2004, per i 7 siti contaminati presenti nel comune di Terni, l’Arpa aveva presentato un piano di indagine di accertamenti preliminari: analisi dal costo (per ciascun sito) di 63.500 euro. Una cifra consistente ma ben lontana dal mettere in dissesto un bilancio pubblico. A titolo di esempio emblematico, si tratta di una somma inferiore a quella che il Comune ha recentemente speso per perfezionare l’illuminazione di un campo da calcio.
Oltretutto in una prima fase il Comune di Terni avrebbe dovuto soltanto attivarsi, poi sarebbe stato il privato o la Regione a finanziare analisi e rilevazioni. E’ infatti spiegato dall’Arpa che nei terreni di proprietà privata “gli accertamenti preliminari saranno effettuati dai soggetti responsabili dell’inquinamento o, qualora questi non siano individuabili o non provvedano, dai proprietari dei siti stessi. I Comuni territorialmente competenti, dovranno provvedere ad informare i responsabili dell’inquinamento e i proprietari del sito, invitandoli ad effettuare gli accertamenti preliminari”. Per i territori di proprietà pubblica invece il Comune sarebbe dovuto intervenire direttamente affidando le analisi all’Arpa: in questo caso il finanziamento sarebbe arrivato dalla Regione.
Al di là della procedura prevista dalla legge regionale, va rimarcato il fatto che “il sindaco è il responsabile della condizione di salute della popolazione del suo territorio”. Il primo cittadino – Raffaelli prima e Di Girolamo poi – sarebbe potuto intervenire con un’ordinanza, mettendo almeno fine alle coltivazioni più a rischio, o in altro modo.
Tutto è invece caduto nell’oblio, apparentemente per volontà politica o per inspiegabile negligenza, con i risultati che Terni Oggi mostra in questa inchiesta.
La mappa dei siti inquinati. Cliccaci sopra per attivarla e navigarla
EX CAVA SABBIONE
Ortaggi potenzialmente avvelenati venduti al mercato
“Le persone che abitano qui da molto tempo lo sanno, hanno visto. Quando hanno costruito il canale di Recentino hanno prelevato la breccia dappertutto, anche da quel terreno di fronte, poi hanno riempito le buche con rifiuti, ho visto io stesso i camion scaricare i sacchi dell’immondizia, poi hanno coperto con un po’ di terra. E sopra a questa terra è stato coltivato”. Così, senza scomporsi, un uomo sulla settantina che smette di zappare per rispondere alle mie domande sulle discariche che dovrebbero trovarsi sotterrate a pochi metri dal suo curato orticello.
Io indico laggiù, poco distante, dove secondo l’Arpa “negli anni ’70 veniva esercitata attività estrattiva di materiali inerti da costruzione” e “negli anni dal 1980-1985 le cavità originate sono state colmate mediante l’apporto di rifiuti provenienti in prevalenza dai centri urbani dei comuni di Terni e Narni. L’area è stata ricoperta con terreno per circa 1 metro ed è attualmente coltivata”. Indico e lui mi spiega: “Su quel terreno fino all’anno scorso il proprietario coltivava molta verdura e la maggior parte la vendeva ai supermercati di Terni. L’anno scorso aveva piantato molti gobbi, forse un ettaro. Innaffiava utilizzando un pozzo privato. Da quest’anno ha abbandonato”.
Due informazioni, una più inquietante dell’altra. Per la zona in cui è presente il pozzo privato, l’Arpa parla di un “grado molto elevato di vulnerabilità dell’acquifero”. Ci sono quindi molte probabilità che gli ortaggi, coltivati proprio sopra la discarica interrata, siano stati innaffiati con acqua potenzialmente contaminata e siano poi finiti sulle tavole dei cittadini ternani.
Mostro le foto appena scattate di ciò che rimane ancora adesso di quelle coltivazioni nell’epicentro della discarica segnalata dall’Arpa, a un centinaio di metri dal suo orto, e chiedo se sia sicuro che quelle verdure venissero vendute: “Certo, che cosa avrebbe dovuto farne? Una parte la consumava per sé ma il resto la portava al mercato e ai supermercati”. Poi è lui stesso a interrogarsi: “I supermercati non fanno controlli sugli ortaggi che vendono?”. E riprende: “Qui davanti viene coltivato sorgo, questo sarà trebbiato a breve, è ora. Ed anche lì sotto ci sono rifiuti”, spiega chi è il proprietario del terreno e chi lo gestisce. Sorgo, quindi destinato agli animali da allevamento, e aggiunge: “Negli anni passati hanno coltivato molti altri tipi di cereali, granoturco ecc”.
Poi la frase spiazzante: “Anche qui, proprio sopra al mio orto, è stata prelevata breccia e le buche sono state riempite con rifiuti. Lo hanno fatto molti anni prima che io cominciassi a coltivare”. E questo non la preoccupa? “No, non sono molto preoccupato perché sopra ai rifiuti è stata messa della terra, almeno un metro, e le radici di queste piante arrivano a profondità di pochi centimetri. Mi preoccupa un po’ di più l’acqua. Io innaffio con l’acqua della formetta, che dovrebbe arrivare da Monteargento, quindi credo sia pulita, ma siamo italiani e chissà cosa ci viene buttato dentro alla formetta”. Dopo aver pronunciato quelle parole, sembra pensarci un po’ su, forse prende pienamente coscienza solo in quel momento di ciò che sapeva da anni, delle discariche e delle possibili contaminazioni e mi domanda se sia il caso di far analizzare la verdura del suo orto. E’ il pensiero di un attimo, poi sentenzia: “Non fa niente, questo orto non lo porterò avanti ancora per molto, c’è un esproprio in atto da parte del Comune”. Non sa dire quale sia il motivo dell’esproprio e non sembra esserne interessato.
Chiedo se la Regione, il Comune, la Provincia, l’Arpa, l’Asl o qualunque altro ente gli abbia mai parlato di possibili rischi o se sia mai arrivato qualcuno a fare dei prelievi, delle analisi. “In tanti anni mai visto nessuno, le istituzioni non mi hanno mai comunicato nulla”.
Stando al documento della Regione, la discarica riguarderebbe 20.000 metri quadri ma secondo le indicazioni del pensionato agricoltore, l’area interessata è ampia più del doppio, attraverso Google Maps possiamo stimare almeno 48.000 metri quadri.
Qui in basso una foto satellitare (di alcuni mesi fa) interattiva: clicca su un punto per leggerne la descrizione.
EX DISCARICA MARATTA 1
Da discarica non autorizzata a zona agricola
Da rifiuti di ogni tipo a coltivazioni di ogni genere, il passo è stato breve.
Per circa 10 anni, dal 1980 al 1990, è stata una discarica non autorizzata di rifiuti speciali (materie plastiche, materiale da demolizioni, materiali ferrosi, carcasse di elettrodomestici). A metà degli anni ’90 vi sono state rilevate combustioni incontrollate di rifiuti. Secondo il documento della Regione, nel 1995 il proprietario è stato obbligato dal Comune di Terni a rimuovere i rifiuti: una ditta incaricata ha portato via 350 quintali di rifiuti speciali assimilabili agli urbani e 130 chili di rifiuti speciali pericolosi. Poi sono iniziate le coltivazioni, senza che nessuna istituzione eseguisse analisi del suolo e delle falde acquifere.
L’Arpa nel 2004 aveva proposto un piano di indagine dal costo di 63.500 euro volto “a dimostrare l’eventuale superamento dei valori di concentrazione limite accettabili o la condizione di non inquinamento del sito”. Non vi sono notizie dell’attuazione di tale piano.
Oggi, nel punto corrispondente al centro dell’area indicata dall’Arpa come “a forte presunzione di contaminazione”, c’è un campo lavorato recentemente, presumibilmente pronto ad accogliere nuove coltivazioni.
Sempre ricompresa nell’area “sospetta”, c’è parte di una grande piantagione di granoturco e c’è un altro appezzamento di terra lavorata.
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EX DISCARICA POLYMER
Una pista di go-kart e riemergono i rifiuti
Per circa un ventennio (1960-1980) è stato utilizzato come discarica da parte dello stabilimento chimico Polymer. Nel 1993, nel corso dei lavori per la realizzazione di un impianto di go-kart, riemersero quei rifiuti. Scattarono i sopralluoghi dei tecnici Usl dai quali fu rilevata la presenza di “fanghi derivanti dalla produzione di acetilene”. I rifiuti prelevati furono però classificati, a seguito di analisi, come non tossici e nocivi. Uno dei 4 campioni di rifiuto misto a materiale sassoso presentava un elevato contenuto di cadmio. A seguito di tali accertamenti fu attivato un procedimento giudiziario presso la Procura della Repubblica di Terni.
Nel 2004 si sospettava la contaminazione del suolo e delle acque sotterranee e superficiali e si proponeva un’indagine. Attualmente la zona è recintata, sui cancelli si trovano cartelli di avvertimento della società E.On che ha recentemente ceduto al gruppo Erg il nucleo idroelettrico ternano.
EX DISCARICA MARATTA 2
Coltivazioni sopra, fanghi industriali sotto
Fieno, e forse altri tipi di coltivazioni, proprio sopra ad una discarica di fanghi industriali.
L’Arpa nel 2004 spiegava che il sito è stato utilizzato come discarica non autorizzata di fanghi residuali della produzione di acetilene da parte della società Rivoira Spa dagli anni ‘70. Nel 1982 i tecnici della Usl, effettuando un sopralluogo, sorpresero casualmente una persona che stava scaricando idrato di calcio, residuo della lavorazione del carburo, e venne fuori che per tali scarichi c’era una tacita autorizzazione da parte del Comune. Lo scarico cessò nel 1987.
Nel 1989, a seguito della richiesta della società di smaltire i propri fanghi in una discarica di Rsu, i vigili sanitari prelevarono dei campioni di fanghi solidi della lavorazione del carburo e fu effettuata l’analisi chimica; i metalli presenti risultarono entro i valori limite di allora, mentre l’eluato superava per il ferro i valori limite. Venne così dato parere negativo in quanto quei fanghi furono classificati come non assimilabili ai rifiuti urbani. Come per gli altri siti, nel 2004 è stato proposto un piano di indagine per verificare se il suolo e le acque sotterranee siano inquinate.
Nel frattempo, nel corso degli anni, quel terreno – che nasconde sotto di sé fanghi industriali non idonei nemmeno ad essere gettati in discariche di rifiuti urbani – è stato coltivato. Lo si deduce recuperando le vecchie immagini satellitari: nel 2007 il campo appare in ordine e lavorato, in una foto del 2013 si riscontra la presenza di fieno, nella foto più recente si vedono chiaramente dei solchi. Anche l’aspetto del campo di questi giorni, fa pensare ad una attività agricola in essere.
VOCABOLO FIORI (1 e 2)
Cent’anni di veleni sotterrati, poi gli orti
Un secolo di rifiuti interrati: prima – per 85 anni – scorie siderurgiche, poi – per 15 anni – rifiuti pericolosi di ogni tipo stoccati senza alcuna precauzione. Oggi su una parte di quel terreno di oltre 5 ettari ci sono orti e coltivazioni. Verdure che finiscono sulle tavole degli stessi coltivatori, dei loro parenti, forse di amici e (qualora una parte sia messa in commercio) di sconosciuti acquirenti.
Quegli oltre 5 ettari di vegetazione strappati all’asfalto, al cemento e alle rotaie ferroviarie, nascondono due discariche dalla storia molto simile, che l’Arpa rubrica con i nomi di “Vocabolo Fiori 1” e “Vocabolo Fiori 2”. In entrambi i casi, la “forte presunzione di contaminazione” non riguarda soltanto il suolo ma anche le acque sotterranee.
VOCABOLO FIORI 1 Il sito più a sud è stato utilizzato dagli inizi del 1900 al 1985 come discarica delle acciaierie di Terni. Nel 1988 il Ministero dell’Ambiente chiese al sindaco del Comune di Terni e all’Usl di Terni di investigare su un presunto impianto di rifiuti non autorizzato, risultato da accertamenti preliminari svolti nell’ambito della prima fase della realizzazione della mappa degli impianti di smaltimento dei rifiuti. Nel gennaio 1989 da accertamenti svolti dai tecnici ambientali della Usl di Terni, risultò l’esercizio dell’attività di commercio all’ingrosso di rottami metallici, raccolta e commercio materiali refrattario, scorie metalliche provenienti dalla Soc.Terni, stoccaggio materiale grafitico; raccolta e/o rottamazione veicoli a motore; raccolta e stoccaggio batterie esauste; raccolta di grandi quantitativi di contenitori metallici usati per il trasporto di Polipropilene atattico; contenitori di oli minerali esausti. Sul terreno agricolo era stato inoltre realizzato un secondo centro di stoccaggio di rifiuti speciali, nel quale erano state collocate: carcasse di autoveicoli, contenitori metallici usati per il trasporto di Polipropilene atattico che tuttavia percolava sul terreno; raccolta circuiti di raffreddamento di autoveicoli e celle frigorifere. Tutti i rifiuti erano stoccati su terreno senza platee impermeabili e tettoie.
Alla luce di tale situazione, nel maggio 1989 l’area fu sequestrata dai tecnici ambientali della Usl di Terni unitamente agli ufficiali di polizia giudiziaria del Tribunale di Terni. Subito dopo il pretore dispose il dissequestro subordinando la completa esecutività di tale provvedimento alla realizzazione di opere che permettessero uno stoccaggio regolare dei rifiuti. Nel febbraio 1990 fu rilasciato parere favorevole all’autorizzazione provvisoria all’esercizio dell’attività di rottamazione. Nel 2004 risultava ancora ben visibile la stratificazione di scorie (derivanti dall’attività siderurgica delle acciaierie) e materiali refrattari per uno spessore di qualche metro.
VOCABOLO FIORI 2 Anche il sito più a nord è stato utilizzato come discarica di scorie e terre di fonderia da parte delle Acciaierie di Terni fino al 1985. Dal 1985 al 2000 fu utilizzato come deposito di rifiuti speciali (rottami, inerti, refrattari). Da prelievi compiuti in occasione di scavi nel 1989 vennero alla luce alcune decine di tonnellate di residui derivanti da lavorazioni industriali di fonderia (scorie e terre). Le analisi effettuate sulle scorie evidenziarono un alto contenuto di Fe e modeste percentuali di Cu, Zn, Cr, Pb, Cd e Mn. Un’altra analisi chimica, effettuata a seguito del prelievo condotto dal personale sanitario (1989) su terra di escavazione portò a classificare tale terra come qualitativamente assimilabile a rifiuti urbani. Ulteriori analisi effettuate nel 1990 su materiale terroso apparentemente contenente scorie di fonderia, lo classificarono come rifiuto speciale non assimilabile agli urbani. Anche in questo caso, ancora nel 2004 erano ben visibili le varie stratificazioni dei diversi materiali stoccati.
ORTI E COLTIVAZIONI Nella parte più a nord-est del terreno sono stati realizzati dei terrazzamenti. Coltivazioni iniziate forse nel 2007, forse prima (da una foto satellitare di 8 anni fa sembrano infatti intravedersi i terrazzamenti). Oggi si contano 4 gradoni – che occupano circa 2 mila metri quadri – e dalla strada è possibile scorgere pomodori ed altre piante. Gli orti sorgono su una parte dell’area “Vocabolo Fiori 2”, la cui terra, nel 1990, era risultata contaminata. Proprio in considerazione di quelle analisi, è legittimo temere che gli ortaggi possano essere pesantemente avvelenati.
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L’OPINIONE
Ci sono due tipi di ambientalismo. Uno è ideologico, catastrofista, anti-occidentalista e aprioristicamente schierato contro le tipiche attività produttive. Un movimento di pensiero costruito intorno alla teoria – per certi aspetti dogmatica – del riscaldamento globale, che percepisce ogni segnale della natura come una punizione per i falli dell’umanità. Qualunque alluvione, qualunque frana, qualunque mutamento climatico ha sempre, indistintamente, lo stesso colpevole: il genere umano. Una visione allo stesso tempo antropocentrica – perché tutto ciò che avviene è causato dall’uomo – e misantropa – perché l’umanità è descritta come il cancro della Terra, fino a “gli animali sono meglio degli uomini”. Nulla di davvero originale: solo il riadattamento laico del paradigma cristiano del peccato originale. Se nella Bibbia la superbia dell’uomo porta Adamo ed Eva a sfidare Dio e trasgredire la sua legge meritandosi la cacciata dall’Eden, per l’ambientalismo radicale è l’avidità che porta l’uomo alla distruzione dell’Eden (identificato nel pianeta Terra). Le analogie con il cristianesimo potrebbero continuare – non è un caso che un Papa “progressista” come Francesco abbia scritto un’enciclica ribattezzata come “ecologica”, nella quale sposa in pieno la causa della riduzione delle emissioni di anidride carbonica.
C’è poi un ambientalismo pragmatico, proteso soprattutto alla tutela della salute umana, impegnato nella ricerca di una vera, e non utopica, sostenibilità delle attività produttive. Non un movimento – perché le sue voci non trovano spazio, spesso soffocate sul nascere dalle urla del radicalismo – ma un modo di pensare sempre più maggioritario, che ruota intorno al diritto alla salute. Un concetto semplice, basilare ma potente: tutti hanno il diritto di vivere in un ambiente salubre. La prospettiva è ribaltata: non è l’ambiente a dover essere salvato dall’uomo come fine ultimo, ma è l’uomo che deve tutelare l’ambiente per salvare se stesso, i propri figli e la propria specie.
Un lungo preambolo sui massimi sistemi, ma necessario per spiegare quale sia il nostro orientamento sulla situazione ambientale di Terni, argomento che trova ampio spazio nelle pagine di questo giornale. Orientamento assai lontano da ogni ambientalismo radicale e invece fortemente ancorato al diritto alla salute. In queste cronache non c’è alcuna messa sotto accusa delle attività produttive in quanto tali né la demonizzazione della realtà industriale. C’è invece l’intento di lanciare l’allarme su ciò che è stupidamente nocivo, accendere i riflettori su quanto è pericoloso ma può essere messo in sicurezza.
Negli anni ’70 – ’80 l’ecologismo era appena nato, c’era scarsa consapevolezza dei rischi sanitari legati all’inquinamento. Interrare rifiuti a Sabbione non era probabilmente percepito come un comportamento che potesse concretamente mettere a rischio la salute umana.
Nel frattempo ne è passata di acqua – inquinata – sotto ai ponti, la sensibilità ambientale è aumentata, le strumentazioni tecniche per le rilevazioni ambientali sono migliorate, è nata l’Agenzia regionale per la protezione ambientale. E proprio l’Arpa ha iniziato a segnalare e mappare le discariche interrate. Eppure le istituzioni locali hanno reiteratamente ignorato quelle bombe ecologiche. Come dimostra un documento della Regione, da molti anni le istituzioni locali erano a conoscenza dell’esistenza di orti e piantagioni ad alto rischio di contaminazione, ma non hanno mosso dito.
Istituzioni locali che hanno fatto e disfatto gli Eventi valentiniani, hanno dato vita a carrozzoni pubblici, hanno assunto consulenti superflui, hanno più volte ridisegnato la viabilità cittadina, hanno introdotto dettagliate norme sulla movida, hanno candidato a capitale della cultura una città senza teatro, ma non hanno trovato il tempo di occuparsi di un pericolo per la salute pubblica, accettando il rischio che sulle tavole dei ternani finissero ortaggi contaminati.
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